La linea grigia mostra il fronte d’urto (bow shock) usuale del vento solare sul campo magnetico di Mercurio. La traccia di materia che fluisce in direzione opposta – cd. HFA, hot flow anomaly – è evidenziata dalla linea rossa in alto a destra. Crediti: NASA / Duberstein
Il Sole invia costantemente in tutte le direzioni dello spazio un flusso caldo di particelle atomiche cariche, un vento solare che fluisce attraverso il Sistema Solare a velocità di oltre 400 km/s. Quando il flusso incontra i campi magnetici prodotti dai pianeti, viene deflesso lungo un fronte d’urto, che gli astrofisici chiamano, alla marinara, bow shock. Questo processo, che viene studiato nell’ambito dello space weather, non si verifica necessariamente in maniera uniforme, ma può generare degli effetti di turbolenza, così come accade nei flussi d’aria atmosferici.
Uno degli effetti più curiosi è l’inversione temporanea e localizzata del flusso di vento solare, una sorta di ‘rimbalzo’ di materia, chiamata hot flow anomaly (HFA), che potremmo tradurre come anomalia di flusso caldo. E l’aggettivo caldo deve essere preso sul serio: la temperatura del plasma in un HFA può raggiungere i 10 milioni di gradi. Questi fenomeni energetici si verificano quasi quotidianamente nel campo magnetico della Terra, così come su Giove e Saturno, ma anche su Marte e Venere (vedi qui su Media INAF in proposito), nonostante i loro campi magnetici siano deboli o localizzati.
Da quest’anno, all’elenco si aggiunge Mercurio. La NASA ha infatti annunciato che la propria sonda MESSENGER (acronimo di Mercury Surface, Space Environment, Geochemistry, and Ranging) è riuscita a rilevare un’anomalia di flusso caldo su Mercurio, il pianeta più vicino al Sole. Il relativo studio è stato pubblicato già qualche mese fa sul Journal of Geophysical Research: Space Physics. “I pianeti possiedono un fronte d’urto, come quello prodotto da aviogetti supersonici”, ha spiegato Vadim Uritsky del Goddard Space Flight Center della NASA, leader dello studio. “Queste anomalie di flusso caldo sono costituite da vento solare molto caldo deviato fuori dal fronte d’urto”.
Nonostante Mercurio sia solo poco più grande della Luna, al contrario di essa possiede un campo magnetico dipolare generato al suo interno. La conferma della presenza di HFA sul piccolo pianeta non è solo significativa in sé ma permette di tracciare un quadro molto più completo della dinamica di queste esplosioni repentine, le cui dimensioni variano grandemente: dai picchi di circa 1.000 km misurati su Venere, alle gigantesche sacche di plasma da 100.000 km di diametro su Saturno. I ricercatori ritengono che questo fenomeno possa essere una caratteristica di tutti i fronti d’urto planetari, indipendentemente dal modo in cui i loro campi magnetici – se presenti – siano generati. Lo studio suggerisce, inoltre, come i fattori più importanti per determinare le dimensioni di un HFA siano la geometria e le dimensioni del fronte d’urto del pianeta.
Per saperne di più:
- L’anteprima dello studio “Active current sheets and candidate hot flow anomalies upstream of Mercury’s bow shock” di V. M. Uritsky, J.A.Slavin, S. A. Boardsen, T. Sundberg, J. M. Raines, D. J. Gershman, G. Collinson, D. Sibeck, G. V. Khazanov, B. J. Anderson e H. Korth, pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Space Physics
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini