Chi nel tempo ha imparato a conoscermi e a seguire i miei discorsi più o meno sconclusionati può sicuramente affermare che il mio blog non è mai stato polemico, né volutamente attento all’attualità. Ho sempre preferito che restasse uno spazio tutto mio, anche a costo di risultare un po’ frivolo e quasi del tutto isolato dai fatti del mondo. Niente menzioni particolari a personaggi dello spettacolo da poco scomparsi (nonostante più volte sentissi alcuni particolarmente vicini), né tanto meno alla miriade di disgrazie e catastrofi dell’ultimo minuto, bandita la politica e pochissimo sarcasmo, assolutamente non in linea con il tono più leggero delle mie pagine.
Restare in silenzio però in alcuni casi è davvero ingiusto, oserei dire quasi un reato. E’ un po’ come essere omertosi e negare che un problema esista, è come non sentirlo vicino e non voler far nulla per migliorare una brutta situazione, e ammettere a se stessi di non aver nemmeno provato a far luce su una determinata tematica, è davvero molto triste. Ci sono infatti dei problemi che affliggono un elevato tasso di popolazione tanto seri che non si possono ignorare e vista l’età della sottoscritta proprietaria di questo blog, le esperienze pregresse e le prospettive future, credo proprio di non poter fare a meno di dedicare qualche riga alla vera piaga che affligge i giovani della nostra generazione: il futuro. Precario, incerto, buio.
La chiamano Generazione a perdere la nostra, quella senza lavoro, senza prospettive di un futuro, quantomeno pieno di speranze. Una generazione rubata, privata, alla quale è stato negato anche il diritto di sognare di realizzare i propri progetti, dopo anni di studi ed esperienze, formazione, stage, contratti precari, dopo tutta l’ansia, lo stress, il panico, i pianti e le speranze, dopo competenze accumulate e impilate su una scrivania, lavori con contratti tanto assurdi quanto i loro nomi impronunciabili, vita all’estero da fame e stage in aziende importanti. La nostra, la generazione saltata, sfruttata e umiliata, dal futuro incerto, precario, disumano, inammissibile.
A lungo involontariamente ho respinto l’idea di poterne far parte, posticipavo il pensiero al giorno seguente alla mia laurea, poi gli eventi della vita mi hanno investito in pieno come un treno e ho dovuto affrontare la mia più grande paura. E così da dieci mesi anch’io vivo da sola, lontana dai miei affetti e faccio parte dell’ormai tristemente celebre repubblica degli stagisti, anche se presto sarò costretta a ritornare a casa, a causa di uno stage che nel giro di pochi mesi scadrà senza possibilità di assunzione. Da dieci mesi anch’io mi faccio forza con le speranze più improponibili, ho assunto la stupida convinzione che non sono l’unica, che c’è chi sta peggio di me e vivo nell’illusione che l’esperienza di un anno accumulata, lottata e meritata, mi tornerà utile, anche solo a fare curriculum, ad aprire la strada ai miei sogni, a dimostrare che valgo qualcosa, a ricordarmi di lottare per un futuro migliore.
Dati alla mano siamo la generazione più preparata, formata e specializzata, eppure al tempo stesso quella più sfruttata, derisa, ignorata. Siamo quelli costretti a scegliere lavori diversi dal nostro percorso di studi, perché ormai considerati poco remunerativi o "campati in aria", quelli costretti ad accettare sulla soglia dei trent’anni ancora stage, per di più non retribuiti, quelli che, nauseati dalla situazione qui in Italia, dalle caste, dalle raccomandazioni, dall’ignoranza, partiamo per l’estero alla ricerca di una carriera più dignitosa e magari troviamo chi apprezza realmente le nostre capacità, sposiamo una persona del luogo, facciamo anche dei figli e mai, per nessun motivo, decidiamo di tornare in patria. Siamo quelli che ormai stanchi dell’incertezza e assolutamente non in grado di pagare un affitto con uno stipendio da miseria, facciamo più lavori contemporaneamente, sopravviviamo e proroghiamo tutte le altre scelte di vita a data da destinarsi.
E ci si chiede anche come sia possibile tutto questo, quale assurdo meccanismo sia rimasto inceppato, lasciando credere agli altri che le cause ricercate nella politica ridicola, nella burocrazia lenta, nella filosofia di vita poco meritocratica, nel brutto andazzo di un Paese retrogrado, siano solo una vecchia cantilena noiosa, mentre “essere figlio di…” è un vanto e purtroppo apre ancora molte porte, a discapito di chi è costretto a tornare a casa a testa bassa dai genitori perché non può permettersi un’esperienza fuori senza lavoro. Lavoro che poi, quando c’è è sempre più a progetto e a scadenza, nascosto dietro assurdi cavilli burocratici a vantaggio del “capo”, ridicolizzato da contratti al limite della legalità e della dignità, a nero, nel migliore dei casi.
Perché essere costretti ad aver paura nel chiedere che fine hanno fatto il merito, i sacrifici, il talento? Perché essere costretti a rinunciare a queste parole? Davvero i nostri genitori non possono più essere in grado di rispondere ai nostri interrogativi e consolarci? Davvero tra qualche decennio saremo seriamente costretti a combattere il problema di una pensione non affatto assicurata?
Mi rifiuto di accettare una tale condizione, ma sono anche consapevole che di bocconi amari dovrò buttarne giù ancora molti. Vorrei poter essere consolata in qualche modo, sapere che prima o poi tutto andrà bene, che arriverà anche il mio turno e invece ogni giorno mi ritrovo a mettere in dubbio le mie capacità, se puntualmente il mio curriculum e le mie proposte vengono ignorate, mettendo a dura prova il mio livello di sopportazione. Credo fortemente nella formazione, ma che sia giusta ed efficace. Non si smette mai di imparare, ma è necessario che ci venga anche data fiducia e che veniamo messi alla prova. Sul serio
Con questa convinzione e con la speranza che qualcosa di positivo finalmente avvenga, vi rimando alla galleria Youtube del documentario, per quanti ancora non hanno avuto la possibilità di vederlo e mi auguro che questo post possa in qualche modo diventare un raccoglitore di esperienze, di pensieri intelligenti, un angolo per il confronto e i suggerimenti e perchè no, una scatola di pareri e racconti positivi e di speranza. Vi aspetto!