Non è semplicemente l’Isola dei Canguri.

Creato il 15 dicembre 2014 da Senzazucchero2012 @senza_zucchero_

Un paio di sere fa sono uscita a cena con una mia amica che non vedevo da diversi mesi. Abbiamo bevuto, mangiato e parlato – e spettegolato – tanto e di tutto, per ore, come è normale quando metti insieme due amiche che si vedono poco, ma si conoscono da oltre vent’anni, e sono diverse e speculari allo stesso tempo, come uno specchio con il suo riflesso.

Per una buona parte della serata si è parlato di viaggi – e come ti sbagli – e, in particolare, d’Australia.

Lei sogna di andarci. Io ci sono stata qualche mese fa.

Abbiamo parlato del bello e del brutto. Lei era avida di sapere, io avevo una voglia matta di raccontare, fino a quando non mi ha messo in difficoltà con una domanda: “Qual è il posto più bello in cui sei stata?”

Non ho saputo rispondere. Dopo aver ripercorso con le parole e i ricordi ogni tappa del mio lungo – e al tempo stesso, brevissimo – viaggio in Australia, era arrivato il momento di assegnare la fascia da vincitore ed io ero in imbarazzo. Tra tanta bellezza e diversità non si può scegliere, non c’è uno che vince su tutti.  Piuttosto chiedetemi cosa non mi è piaciuto, ho già la risposta pronta.

Il mio podio imaginario non è sfalsato in tre gradini, ma è una pedana lunga  sulla quale salirebbero la Great Ocean Road con le sue scogliere, il Kakadu National Park con le sue cascate, Cairns con la sua lunga esplanade affacciata sull’oceano, Fitzroy Island che incarna l’idea di isola tropicale con le palme da cocco sulla spiaggia bianca, Sydney con i suoi edifici moderni, l’Outback con i suoi paesaggi sconfinati, Melbourne con la sua vita notturna, Kangaroo Island con tutto quello che sto per raccontarvi.


Quest’isola è l’Australia che immaginavo: strade infinite, spesso sterrate, che si srotolano tra file di alberi della gomma; il cielo turchese da guardare negli spazi vuoti lasciati dalle fronde degli alberi mentre si è in movimento su quelle stesse strade; mare agitato, forte ed immenso; fattorie e spazi verdi infiniti. Abbiamo avvistato pochissimi koala, è vero, ma canguri e wallaby ovunque e tanti altri animali che non ti aspetti di trovare la.

Kangaroo Island si presenta all’approdo con Penneshaw, un minuscolo villaggio di pescatori popolato da appena 270 anime, dove la cena viene servita dalle 5.30 del pomeriggio, di sera la spiaggetta vicino al molo offre un rifugio ad una colonia di pinguini e tutto sembra essersi fermato a mezzo secolo fa. Il tempo scorre lento, di quella lentezza tipica dei paesini così piccoli ed isolati che diventano loro stessi un microcosmo a sé stante; i rumori sono lontani mentre i suoni della Natura sono prepotenti, amplificati all’ennesima potenza.


Immaginate di essere appena andati via da casa di Paul e di arrivare davanti ad una spiaggia di scogli, dopo aver salutato un grosso canguro che vi guarda con diffidenza mentre scendete dalla macchina, ma non così tanta da smettere di mangiare placidamente la sua erba: è l’ora del tramonto e la piccola baia, raccolta tra verdi colline che scendono dolcemente verso il mare e una parete rocciosa così alta da non riuscire a vedere cosa si cela dall’altra parte, è inondata dalla luce del sole, che, lentamente, si sta facendo inghiottire dal mare.

Bella” vi vien da pensare, fino a quando l’occhio non vi cade su un cartello con la scritta “Beach”, puntato proprio verso la parete rocciosa e la curiosità è troppa, perché da quell’angolazione non si vede altro che rocce. Ma avvicinandovi, scoprirete che, tra gli enormi massi appoggiati l’uno l’altro in un Tetris pronto a sbarrarvi il passaggio, in realtà si apre una stradina che quelle rocce le costeggia e le attraversa: alla fine del tunnel, all’improvviso ecco un’altra baia – ancora più ampia, ancora più bella – dove la luce dorata del sole riflette sulle acque basse e limpide, per poi allungarsi sulla sabbia bianca in un gioco di riflessi e di ombre.

C’è silenzio, non c’è nessun altro; rimanete incantati e vi illudete per un secondo di aver scoperto un segreto. Dopo qualche minuto, mentre siete seduti sulla sabbia umida a guardare il mare, vi rendete conto che, invece, c’è qualcun altro. Fate fatica a mettere a fuoco, si muove troppo velocemente, si allontana, ma poi ecco che si avvicina sempre di più: è un’otaria che gioca tra le onde e con le onde, le cavalca e si lascia trasportare. E’ lì, a pochi metri da voi, la guardate ma lei nemmeno vi vede: si sta divertendo, sembra quasi sorridere. Lei è felice, siete felice anche voi.

Avete appena scoperto Stokes Bay.


Un faro di mattoncini color sabbia, con il ricordo dell’ennesimo naufragio, segna l’inizio di una lunga passerella, che si snoda e degrada verso il mare e sembra diventare un ponte tra la terraferma ad un isolotto piatto e verde poco distante dalla costa.

Pochi ingredienti e gli occhi sarebbero già sazi, ma qualcosa vi dice di proseguire sempre più giù ed è li, alla fine di tutti quegli scalini di legno, nell’odore pungente e poco gradevole che impregna l’aria, che scoprite lo spettacolo vero del posto: un enorme arco di pietra nera – sulla quale la luce riflette come  su uno specchio – accoglie e ripara dal vento decine di otarie assopite, sdraiate in anfratti scavati dal vento e dal mare che pare assurdo essere riuscite a raggiungere, loro che fuori dall’acqua sembrano così morbide e goffe.

Avete appena visto Admirals Arch.


Enormi macigni di granito color rame, levigati da 500 milioni di anni di erosioni che li hanno resi tondeggianti e li hanno lasciati li, appoggiati su un grande plateau scosceso, sembrano stiano per rotolare giù, sotto la spinta del vento, un vento che ti entra persino nelle tasche dandoti l’illusione di poter spiccare il volo da un momento all’altro.

C’è parecchia gente intorno, anche se siamo fuori stagione, ma sia le Remarkable Rocks che l’Admirals Arch sono i must-see di questo angolo a sud del sud del mondo ed infatti siamo tutti li, voi ed io; non siamo tantissimi, ma siamo comunque troppi per ritagliarci ognuno uno spazio sufficiente per fare foto decenti.

E allora non rimane altro che sedersi, anzi sdraiarsi, nonostante il vento, e guardare il mare e le rocce, niente più, e lasciare che la mente si ripeta ancora una volta che in Australia è la Natura che vince su tutto.


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