Non è un paese per giovani (e ci voleva un genio per capirlo)

Creato il 22 ottobre 2011 da Abattoir

sabato 22 ottobre 2011 di Marilisa Dones

Qualche anno fa, Guidi (ex consigliere di Confindustia) invitava i giovani a lasciare l’Italia. Era forse un visionario? No di certo, più semplicemente conosceva bene i suoi polli e sapeva che nessuno avrebbe fatto qualcosa per rinunciare ai privilegi in favore delle classi più giovani. Aveva già previsto che l’Italia non era, né mai sarebbe stata, “un paese per giovani”. E di questo pare essersene accorto, allarmato, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, destinato a diventare presidente della BCE. Pare abbia scoperto l’acqua calda il nostrano Millior Dollar Man: “La crescita economica non può fare a meno dei giovani né i giovani della crescita”, dice.  Guardando persino al passato ha sottolineato che nel Dopoguerra il dualismo giovani/crescita economica si palesava nello sviluppo demografico e produttivo, nel progresso tecnico e nelle caratteristiche del capitale umano adatte a sostenere lo sviluppo. Viene da ridere a pensare al passato, a come potevano andare le cose. Ma di un sorriso amaro come il fiele. Come si ripete fino allo sfinimento, ormai le prospettive dei giovani ad aspirare a un reddito decente sono ridotte a zero, soprattutto nel nostro Paese (mi vergogno quasi anche a scriverlo in maiuscolo). Aggiunge Draghi anche che “il loro contributo alla crescita è frenato in vario modo dai nodi strutturali che strozzano la nostra economia”. Ma va? E poi arriva il bello del suo discorso: “Vi è un problema di inutilizzo del loro patrimonio di conoscenza, della loro capacità di innovazione. La bassa crescita dell’Italia negli ultimi anni è anche riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte alle giovani generazioni di contribuire allo sviluppo economico e sociale con la loro capacità innovativa, la loro conoscenza, il loro entusiasmo”. Entusiasmo? Ma di quale entusiarmo parla? Alzi la mano chi è entusiasta…

Il governatore della Banca d’Italia, poi, ha offerto anche una lezioncina: la crisi che imperversa dal 2008 sull’intero mondo ha aggravato il problema perché i giovani sono quelli che accusano i contraccolpi più pesanti; si è osservata una caduta dell’occupazione in tutta l’Unione Europea ma in Spagna e Italia tutto è stato più accentuato (manco a dirlo…).

Inoltre, Draghi pone l’accento anche su un altro dato: secondo le stime della Banca d’Italia tra il 2007 e il 2010 il reddito equivalente è diminuito mediamente dell’1%, arrivando al 3% per i nuclei familiari in cui il capofamiglia ha 40-64 anni. Perché? Perché gli altri componenti delle famiglie “plurireddito”, i giovani appunto, hanno delle entrate minori (quando ne hanno e non sono obbligati ad accettare stage non retribuiti). E invece – udite udite – è cresciuto il reddito dei capofamiglia che hanno più di 65 anni. Ma in generale si può dire che la povertà delle famiglie con reddito si è aggravata (mal comune mezzo gaudio?).

Crisi a parte, i giovani non abbandonano casa di mammà a tempo debito (il 14,2% dei giovani con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni vive ancora con mammina e papino) a causa di una forma mentis culturale che non si cura a sufficienza dei cambiamenti economici, politici e sociali.

Tragedia genera tragedia, questo lo sappiamo: una società che non cresce causa un aumento delle sperequazioni nelle condizioni di partenza. Che vuol dire? Che il reddito dei figli è legato a doppia mandata a quello dei padri, quindi se sei fortunato e sei nato – se non nel momento giusto – almeno nel posto giusto e nella famiglia giusta, puoi aspirare a qualcosa di più, perché questo ha più importanza rispetto a una laurea strabiliante o a un cv mozzafiato.

Altrimenti, se sei laureato ma figlio di un poveretto, anche se ti sei fatto un mazzo tanto per studiare, i tuoi hanno fatto sacrifici immensi per mandarti all’università e permetterti un futuro migliore del loro, ti puoi attaccare al tram e puoi dire loro che è stata tutta fatica sprecata. Oh, e questo mica l’ha detto un pinco pallino qualunque (ambasciator non porta pena!).

E se la politica sembra non volersi occupare dei giovani, benché poche problematiche appaiano altrettanto decisive per il futuro italiano, che cosa succederà? Siamo tutti curiosi di saperlo…soprattutto noi giovani parte in causa.

Da quanto tempo sulle testate leggiamo discorsi che evidenziano che la previdenza dei nostri padri si regge sul nostro sacrificio, che il nostro futuro non è né sarà semplice, che non abbiamo futuro, ecc., ecc.?

“Questi qua” continuano a parlare, a fare conferenze, a fregiarsi di belle parole, ma nel concreto cosa fanno realmente? Oggi chi ha meno di quarant’anni è in una condizione di marginalità tale per cui il ricambio naturale secondo cui le generazioni più giovani dovrebbero rimpiazzare quelle più anziane è più che alterato. Quindi che cosa dobbiamo pensare di questi discorsi? Dovremmo essere grati a questi personaggi che ogni  tanto si ricordano di noi?

La verità è che siamo, da troppo tempo ormai, solo parte di una retorica che serve a vender giornali e riempire la bocca di politici o presunti tali. E quando non si ha nient’altro da dire, ecco che si gioca la carta dei giovani e del loro futuro. L’Italia è un paese popolato da vecchi, non c’è crescita demografica adeguata (e come potrebbe esserci d’altra parte?), c’è la fuga dei cervelli che abbandonano il Paese alla ricerca di carriere più appaganti basate sulla meritocrazia (come biasimarli?). E allora come potrà mai riprendersi un paese che sembra inetto a qualunque proposta di innovazione e creatività?

Abbiamo persino un ministero destinato alla Gioventù (lo sapevate? Altri stipendiati che dovrebbero risolvere (o quanto meno battersi) i nostri problemi: loro la pensione l’avranno comunque vada), ma l’agenda politica vera non si sogna nemmeno (o forse non ne è capace) di includere i fatti.

Fate 2+2: a che cavolo serve una politica volta a tutelare una classe di cittadini che non porta voti sufficienti? La classe politica se ne infischia di noi, fatevene una ragione. Ma la colpa è nostra: siamo una minoranza e siamo destinati a diminuire perché scapperemo e perché faremo meno figli (o non ne faremo affatto) e rappresentiamo quindi un bacino di voti su cui non vale nemmeno la pena investire.

D’altro canto, pensateci bene, non sarebbe puramente e follemente utopico – come si legge sul Corriere della Sera – pretendere che un politico segua una concezione “alta” della politica, svincolata dal perseguimento di interessi immediati e settoriali? Però, a ben rifletterci, sarebbe già una bella cosa che un politico riuscisse semplicemente ad affiancare gli interessi e le domande circoscritti con una visione politica più ampia nella misura in cui si lasciasse guidare da – per citare Max Weber – lungimiranza e quanto meno senso di responsabilità e passione. Infatti solo e soltanto con una politica di tipo generale che guardi “anche” (a noi basterebbe questo “anche”, ci accontentiamo di poco) al benessere delle nuove generazioni e non sia indirizzata unicamente ad avvantaggiare la maggioranza degli elettori odierni, è possibile pensare ad un futuro (migliore o un futuro e basta) sostenibile e appagante nel e del nostro Paese.

La dura verità è che la falla della classe politica italiana consiste nell’assenza dell’idea dell’Italia come vorremmo che fosse quando loro (i vecchi e la classe politica) non ci saranno più. E noi che cosa raccoglieremo? E soprattutto saremo qui a vedere quello che ne resta?

E in tutta sincerità, se ci riflettiamo un attimo, l’intervento del buon Draghi lascia il sapore di una sarcastica ipocrisia…

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