Non è un paese per vecchie e bambine: intervista a Loredana Lipperini

Creato il 02 ottobre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Ossimoro Nel 2007 ha pubblicato Ancora dalla parte delle bambine, in cui ci mostrava l’ingerenza degli stereotipi di genere sulle nuove generazioni, plagiate dalla tv, dalla pubblicità, dai libri di testo, dalla letteratura e dai parenti adulti. Nel 2010 rilancia con Non è un paese per vecchie, raccontandoci un’Italia che non vuole morire e soprattutto non vuole invecchiare: all’odio per gli anziani diffuso sui social network risponde una drammatica situazione degli ospizi, il tutto sulle spalle dei 50-60enni, la stritolatissima “generazione sandwich” che si prende cura dei giovani figli senza lavoro e contestualmente dei vecchi genitori malati. Loredana Lipperini ha scritto due libri densi di dati, di situazioni, di suggestioni che fotografano un paese in cui le cose devono necessariamente cambiare. E cambieranno solo se le singole coscienze cominceranno a mettersi in discussione. È per questo che ho deciso di attingere dai numerosissimi spunti di riflessione presenti nei suoi libri per fare a Loredana Lipperini queste domande, che ci daranno modo di approfondire alcuni degli snodi più interessanti: cominciamo subito! 
1) Cioè, Top Girl, Pops, Ragazza Moderna…le ragazzine, oggi come ieri, sono bombardate da pubblicazioni piene di Zack Effron, gossip, poster giganti e istigazioni alla seduzione; quando avevo dieci anni scrissi una lettera alla redazione di Kiss Me (rivista di cui ero lettrice all’epoca) domandando perché non proponessero più articoli su cinema, libri e anime giapponesi e interrogandoli sulla ragione della presenza di due enormi rubriche – parecchio esplicite – sul sesso, a mio parere poco adatte alla giovane età di alcune lettrici, me compresa. Ovviamente nessuno mi rispose mai. Oggi, nelle interviste del libro-inchiesta “Ragazze Irresistibili”, finanziato dal Commissione Regionale Piemontese per le Pari Opportunità, le ragazze intervistate sul tema “riviste” si dicono stanche di questi giornaletti infarciti di test pseudo-psicologici e pettegolezzi, e chiedono a gran voce pubblicazioni adatte alla loro età che parlino di libri, di cinema e di attualità. Se la necessità è così lampante, perché dunque la pubblicazione di una rivista con queste caratteristiche in Italia pare essere una follia assoluta? 
Per lo stesso motivo per cui si continua a ritenere che un prodotto re-genderizzato vende di più, e che dunque è giusto dare alla luce la “Bic for Her” (sì, proprio for Her, con inchiostro glitterato e color pastello, perfetto per compilare un conto corrente alla posta, come si immagina), e che dunque è giusto che le bambine abbiano i loro mattoncini Lego rosa e lilla per costruire il salone di bellezza. Le riviste, in realtà, proseguono su questa linea da quasi vent’anni: è una banale – e perversa – questione di soldi. Si è deciso che re-genderizzare fa vendere di più. E purtroppo è vero. Dico purtroppo perché non ci sarebbe nulla di male a confezionare prodotti che si rivolgono “anche” a target esplicitamente femminili o maschili. Il problema è che lo si fa al ribasso. Quanto allo sconcertante mix giornalistico fra destinazione per preadolescenti (11-13) e rubriche sul sesso, è un vecchio trucco del marketing: si chiama abbassare l’entry point, il punto di ingresso alla marca. Prima cominci a comprare prodotti destinati a una fascia d’età più alta, meglio è. È il motivo per cui, da qualche anno in qua, i magazine per bambine (delle elementari) allegano non giochi ma trucchi. Quanto alle riviste più complete auspicate nella ricerca, con un mercato editoriale così in crisi, temo che restino una pura utopia: chi pubblica vuole andare sul sicuro. O meglio: vuole illudersi di andare sul sicuro. 
2) Uno dei punti più interessanti di “Ancora dalla parte delle bambine” è il capitolo dedicato alle fan fiction: in che modo queste creazioni finiscono per essere il contenitore di tutte le aspirazioni, umane e sentimentali, delle giovani scrittrici? Mi riferisco in particolare al discorso sugli “intrecci sovrasessuali” che spesso si incontrano leggendo fan fiction. 
Il “come mai” non lo so. Però posso azzardare che in qualunque direzione si vada, riprendersi la scrittura è un gran passo avanti. Non importa se le fan fiction si adeguano all’offerta libraria prevalente, o se sono miniature di Twilight. La cosa importante è che si scriva. Questa è la risposta che ti avrei dato fino a un anno e mezzo fa. Adesso comincio ad avere qualche perplessità: non perché scrivere in rete non sia importantissimo, e non debba essere fatto, per gioco, per passione o per palestra professionale. Ma perché è l’atteggiamento degli editori che sembra sollecitare i lettori e le lettrici a scrivere sempre di più, magari sotto la loro egida. Insomma, se nasce anche il sito fan fiction di Geronimo Stilton qualche campanello d’allarme suona. Perché la lezione di Amazon è nota: guadagnare poco da moltissimi, lasciando che quei moltissimi guadagnino pochissimo. 
3) La porzione più sostanziosa di stereotipi di genere che pervengono dalla tv sono veicolati dalla pubblicità (bimbe che giocano in cucina, maschi che corrono all’aperto nei prati), tuttavia uno spot che non si riferisca a una “nicchia di mercato” difficilmente sarebbe efficace, perché non delineerebbe con precisione il proprio pubblico. Fare pubblicità di prodotti per bambini senza spingere sugli stereotipi di genere sarebbe possibile oppure no? È solo pigrizia delle agenzie pubblicitarie o semplicemente non esisterebbe altro modo per vendere un prodotto? 
Secondo me, sì. Pensa solo all’Ikea e alle famiglie composite e non tradizionali dei suoi spot. Pensa a Dove, che cerca di programmare pubblicità con immagini femminili non stereotipate. La pubblicità non è pigra – o a volte sì, è anche pigra e i creativi sono molto poco degni di tale nome – ,è conservatrice. Non osa, asseconda. E mettici anche i committenti, che a volte pongono precisi vincoli alle agenzie. Io credo che non solo sia possibile, ma auspicabile. Il problema – uno dei problemi, almeno – è che i bambini sono consumatori appetibili. Più che appetibili, anzi: indispensabili. Quindi si cerca di seguire l’onda, e l’onda cresce. Fino ai completini leopardati per neonate, ebbene sì. 
4) In un capitolo di “Non è un paese per vecchie” si fa un’analisi molto interessante di come il fenomeno Twilight sia fortemente legato alla paura che l’uomo contemporaneo ha del disfacimento: il vampiro Edward, che, invece di temere la luce, brilla come un gioiello al sole e protegge come un gentleman d’altri tempi la sua amata, promettendole la vita eterna, pare essere l’antidoto perfetto per questa società che non vuole morire e, soprattutto, non vuole invecchiare. Credi che dietro al grande successo del paranormal romance in generale possa esserci davvero questa ancestrale paura e che i giovani (e soprattutto LE giovani) sentano il bisogno di sentire accanto a sé la presenza di un vampiro, un angelo, un fantasma, un licantropo, uno zombie…insomma, di qualcuno che in qualche modo ha sconfitto la morte? 
Penso che ci sia questo, in parte, e soprattutto ci sia la ricerca del compagno perfetto. Una piccola vendetta sul fantasma della donna raccontato per secoli dalla letteratura maschile, da una parte. Dall’altra, una certa incertezza (tanta incertezza) sulla realtà. Le ragazze, dati alla mano, sono più brave a scuola, si laureano prima e con voti migliori, sono le maggiori lettrici in tutte le fasce d’età. Sanno, però, che il mondo del lavoro le tratterà peggio dei loro coetanei, che guadagneranno di meno e saranno più licenziabili, che avranno pochissimo sostegno se avranno figli. Dunque, sognano l’impossibile. Io auguro a loro, a voi, di ottenerlo. Fuori dai libri, in primo luogo. 

5) La tua attenta analisi “sociologica” sulle ragioni del successo di Twilight mi spingono a domandarti che cosa pensi abbia fatto scaturire il recente successo della trilogia Cinquanta sfumature: quali paure e insicurezze dell’umano si celano dietro l’attrazione che molte donne hanno provato nei confronti di questa storia, che è oggettivamente scritta in modo piatto e densa di stereotipi e assurdità? 

Semplicemente, è la storia di Cenerentola, con manette. Non sono sicura che siano i frustini ad aver attirato le lettrici: temo che le abbia attirate lo status miliardario del frustatore. E soprattutto, il vecchio giochino dell’io ti salverò, del datemi un cattivo da redimere. Vecchio, il gioco, e pericoloso. In Italia, poi, ha contato anche altro: e l’altro sono le cinquecentomila copie di tiratura, le due copertine di Panorama, tutta l’accurata campagna “non l’hai ancora letto?”. Detto questo, le Cinquanta bla bla sono, a mio parere, innocue. La storia editoriale è costellata di successi, anche clamorosi, dovuti allo scandaletto sessuale. Passa, e per fortuna si passa anche ad altri libri. Magari scritti meglio. 

6) Anziani abbandonati in ospizi-lager, anziani che muoiono di stenti con la loro pensione minima da 300 euro, anziani odiati al punto di meritarsi gruppi che ne fomentano l’odio su Facebook; anziani fuori di testa, spesso aggressivi e inconsapevoli, che “obbligano” la generazione dei 50-60enni (quella che tu chiami “Generazione sandwich”, divisa tra l’accudimento dei figli e quello dei genitori) a sacrifici immani per fornire cura, pagare badanti, fare code e infiniti giri tra INPS e sanità, di fatto rinunciando a vivere appieno l’età centrale della vita (so di persone che hanno lasciato parzialmente o totalmente il lavoro per occuparsi dei genitori anziani). Come livellare gli squilibri dei rapporti tra generazioni, in un’ottica che sia, quindi, “contro” l’abbandono degli anziani a se stessi, ma anche “contro” la rinuncia alla vita da parte dei 50-60enni? 

Parlandone, intanto. Per anni e anni si è battuto sul fatto che i vecchi sono quelli che hanno ostacolato le giovani generazioni. A ostacolare è stata la mia generazione, semmai, quella dei cinquantenni. Non certo i vecchi, che in Italia sono i poveri fra i poveri (i pensionati italiani sono, di media, sotto la soglia di povertà): ma di questo non si parla, si parla delle (poche) pensioni d’oro, e non dei pensionati che rubano le confezioni di prosciutto nei supermercati perché non ce la fanno a tirare avanti fino a fine mese. La generazione sandwich, poi, che è soprattutto femminile, è quella che continua a rimanere schiacciata. E inascoltata. Come si fa? Realizzando un welfare degno di questo nome, che l’Italia non ha mai avuto, e che i nostri super-tecnici ritengono – ah ah – obsoleto. 

7) Questione “anziani”, questione “di genere”: mi ha colpito molto la tua riflessione sul fatto che una moglie anziana che si trovi ad occuparsi del marito anziano malato e/o mentalmente assente lo faccia con un certo equilibro, poiché nella vita ha avuto tutte le esperienze possibili relative alla cura del prossimo (talvolta solo quelle); colpisce il dato che, invece, mostra quanto siano comuni gli omicidi-suicidi quando è il marito anziano a trovarsi nella situazione di doversi occupare della moglie gravemente malata. Vuoi spiegare ai nostri lettori le ragioni per cui questo orrore è all’ordine del giorno nel nostro paese? Secondo te questi tristi dati percentuali sono destinati a diminuire, almeno un po’, con il passare del tempo? 
No, finché non si fa davvero qualcosa al di là della facile indignazione. Negli ultimi mesi sono sempre più perplessa su questo punto: abbiamo parlato, descritto, denunciato, e tutto rimbalza contro pareti invisibili. Possibile che la nostra rabbia duri il tempo di un “mi piace” sotto uno status? Credo che per cambiare le cose bisogna cominciare a guardare lontano. E cominciare, anche, dai fondamentali: una legge che introduca l’educazione sessuale e di genere a scuola. Siamo l’unico paese europeo a non averla. 

8) Ho venticinque anni e scrivo a nome della mia generazione: sono sempre più cosciente del fatto che tutti i miei amici e conoscenti siano in qualche modo interessati da questa situazione, perché siamo tutti nipoti e pronipoti di anziani ultraottantenni affetti da Alzheimer o demenza senile grave, non autosufficienti, con cui ogni tentativo di rendersi utile e dispensare affetto pare del tutto inefficace, quando non dannoso (visto il mancato riscontro e a volte alle reazioni aggressive, dovuto all’”assenza mentale” della persona): hai in mente qualche lettura da consigliarci che possa idealmente riconciliarci con questa situazione o darci consigli utili per viverla con maggiore serenità? 

Uno. Un graphic novel. Meraviglioso e che porta un soffio di dolcezza e poesia. Rughe di Paco Roca. 
9) In “Ancora dalla parte delle bambine” metti in evidenza come gli stereotipi di genere, oltre che dai media, siano inculcati già in tenera età anche dall'influenza degli adulti (nonni, zii, amici, gli stessi genitori) che, spesso senza nemmeno accorgersene, spingono i bambini a scegliere giochi differenti in base al loro sesso o correggono alcuni loro comportamenti ritenuti inappropriati (per esempio dicendo ai maschi “non piangere come una femminuccia” o alle femmine vivaci “sei proprio un maschiaccio”). Io non sono una mamma, ma sicuramente se avessi un figlio (femmina o maschio che fosse) vorrei che crescesse senza questi schemi mentali, sentendosi libero di giocare con ciò che gli piace; tuttavia so anche quanto da piccoli sia traumatico sentirsi diversi ed esclusi dal gruppo. A tuo avviso qual è il giusto equilibrio? Che consigli ti sentiresti di dare alle mamme o alle donne che un giorno lo diventeranno?
In effetti, ho un certo riserbo a dare consigli: perché le madri e le donne sono subissate da consigli, manuali, fai così. Quello che posso dire è di guardarsi intorno e di porsi domande. Non è automatico che una bambina cui si dice “stai composta” diventi una leziosa fanciulla, né che un maschio cui si impone di non piangere si trasformi in Marchionne. Ma la domanda è: “cosa si sta perdendo?”. La dolcezza, la sensibilità, l’attenzione (per i maschi), il coraggio, il rischio, l’indipendenza (per le femmine) non sono qualità che vengono incoraggiate. Proverei a guardare ai giochi e agli abiti che vengono suggeriti per loro con occhio più critico. Conoscere è sempre il primo passo. 

10) Il capitolo che hai dedicato a lettura e scrittura in “Ancora dalla parte delle bambine” si intitola polemicamente “Contro Hermione Granger”: vuoi spiegare ai nostri lettori in che modo l’amica arguta e un po’ secchiona di Harry Potter, in cui tante ragazzine si immedesimano da una quindicina d’anni a questa parte, è un classico esempio di “comprimarietà inevitabile”? 

Era, spero che si sia capito, un capitolo provocatorio. Amo moltissimo la saga di Harry Potter, e anche Hermione. Però, la comprimarietà femminile c’è, anche quando a scrivere sono le donne. Meno, negli ultimi cinque anni (“Ancora dalla parte delle bambine” è del 2007). Ma la quantità non sempre corrisponde alla qualità: perché molte, troppe eroine desiderano solo un lieto fine sentimentale. Generalizzo, ma non troppo. Poi ci sarebbe da discutere sulla visibilità delle scrittrici che esulano da questo discorso. Pochi giorni fa, a Merano, uno scrittore ha “rimproverato” le donne di scrivere troppa letteratura sentimentale. Ora, a parte il fatto che anche Franzen, a ben vedere, parla di sentimenti (e di cosa, altrimenti?) il problema sta proprio nello sguardo che si posa sulle autrici. Benevolo, se va bene. Mai o quasi mai autenticamente interessato. 

11) Hai scritto un libro sull’essere umano moderno nel suo affacciarsi alla vita e uno sul suo prendere congedo dalla vita: che dire della “generazione sandwich”? A quando un libro sull’età centrale della vita, sulla popolosa “generazione adulta da sempre e per sempre” dei babyboomers, i 50-60enni che sembrano avere addosso oneri e onori di tante generazioni accatastate una sull’altra? 

Quella generazione, in parte, è stata raccontata proprio in “Non è un paese per vecchie”, dal momento che i cinquanta-sessantenni, mi dispiace per loro e per me, sono, comunque, “vecchi”. Perché temere le parole? Non credo che scriverò dunque un libro appositamente su di loro. In verità, dopo il prossimo mi prenderò un po’ di pausa dai saggi sulla questione femminile. Bisogna lasciar spazio ad altre voci, e non ripetersi: o si rischia di diventare scontati, e dunque inattendibili. 

12) Si parla spesso di donne e letteratura. Si parla ancora più spesso di donne e romance (o women's fiction). La domanda quindi sorge spontanea: le donne, anche in letteratura, sono una specie da salvaguardare? Da dove nasce questa chiusura verso il femminile anche in questo settore (che sfocia a tratti nell'autoghettizzazione da parte delle stesse, come spesso accade nella narrativa di genere), che vuole la donna relegata solo al genere romance e a ruoli marginali nella filiera editoriale? 
Ah, questa è la domanda, e in parte ti ho risposto più sopra. Nasce da una minor considerazione nei confronti delle donne scrittrici. Qui dovrei fare il solito elenco: Woolf, Yourcenar, Byatt, Lessing eccetera. Non esistono le donne scrittrici: esistono le scrittrici. E il disgusto critico nei confronti del “rosa” (come nei confronti di tutti i generi letterari, a dire il vero) si perpetra per un malinteso senso della letterarietà che disprezza tutto ciò che puzza di storytelling, come le storie fossero il Male. Se raccontate da donne, ancor di più. Basta guardare i numeri, ancora una volta: negli Stati Uniti come in Italia, la proporzione delle donne recensite è minima rispetto a quelle degli uomini recensiti. Le critiche letterarie sono poche. Inoltre: i romanzi delle donne molto spesso vengono “femminilizzati” nelle copertine e nei titoli anche quando di sentimentale, nei loro testi, c’è pochissimo. Oppure, se ne enfatizza il carattere “maschile”, come per Yourcenar. Da questo punto di vista, c’è tutto da fare. 

13) Non bambini/e e non vecchi/e. A malapena adulti. Quali sono le prospettive future delle nuove generazioni che per il 30% sono composte da ragazzi (dai 15 ai 24 anni) che non studiano, non lavorano e non seguono un percorso formativo (in Italia)? Come dare più spazio a giovani che forse avrebbero molto di più da dare e che rappresentano il futuro della nostra società? 

Devono prenderselo, quello spazio, con le unghie e con i denti. E gli adulti devono piantarla di inondare i social media con ringhi e anatemi contro i politici ladri e lottare per la prima istituzione per cui bisogna battersi in un paese civile: la scuola. Una scuola che formi, interessi e che non sia volta a formare giovani lupi in carriera. Una scuola che sia alla portata di tutti, e che valorizzi tutti e che sia in grado di coinvolgere “di per sé”, non perché così si diventa bravi tagliatori di teste e di posti di lavoro quando si è cresciuti. 

14) Disabilità immaginativa, ovvero l'incapacità di pensare e attuare la soluzione di un mondo migliore e che "rappresenti un futuro motivante per noi oggi". Concordi con la collega Lorella Zanardo? Cosa si dovrebbe fare nel concreto per cambiare le cose? 

Credo di averti risposto, per la mia parte: informare e formare. E cominciare a progettare. In Italia si è sempre pensato alla giornata. In ogni campo. 
15) Con alcuni recenti romanzi, si è tornato a mettere in discussione il ruolo della donna. Ora che ha acquisito una lieve parvenza di emancipazione, sembra voler tornare a essere sottomessa e ben ammaestrata dall'altra metà del cielo. È davvero così? Le donne di oggi sono quindi il prodotto della falsa immagine dei media che le vogliono come oggetti, e per definizione senza indipendenza o facoltà decisionali? 
Ovviamente non è così. Però che sia in atto un tentativo di gender backlash è vero, verissimo: nei periodi di crisi economica è la prima cosa che si prova a fare. Signore, a casa che abbiamo bisogno di voi. Quindi, occhi aperti. 

16) Nell'ultima parte di “Non è un paese per vecchie” si parla anche dell'amore transgenerazionale. A tuo parere è davvero possibile un rapporto che coinvolga due persone con un divario d'età notevole? E perché l'unione tra una donna matura e un ragazzo giovane è vista diversamente dall'unione opposta (uomo maturo/donna giovane)? Solo un fattore culturale dettato dalla consuetudine, o c'è altro? 

Certo che è possibile, a patto di superare i fattori culturali e sociali che tendono a ridicolizzare e condannare le donne con un compagno più giovane. Resistentissimi: pensa solo alle fotografie impietose dell’attrice lasciata dal marito-ragazzo o al motivo per cui è stata attaccata Rosy Mauro. Non solo per lo scandalo politico, ma per il fidanzato più giovane. 

17) Anticipazioni sul nuovo saggio? 

Si chiamerà “Di madri ce n’è più d’una”, esce a gennaio, sempre per Feltrinelli e parlerà di immaginario legato al materno. Bambine, madri, vecchie. Credo di potermi fermare qui.
Tantissime grazie a Loredana Lipperini per il tempo che ci ha dedicato: ci aggiorneremo nell’anno nuovo, con “Di madri ce n’è più di una”.

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