Non esageriamo, il crocifisso non è il burqa.

Creato il 21 marzo 2011 da Cristiana

E’ tutto complicato.

La verità è che un crocifisso è un crocifisso, mentre un burqa è un burqua.

Mi spiego.

Non ho ricordi di fastidio rispetto al crocifisso. Anzi. Ho ricordi di raccoglimento davanti al crocifisso di legno di Gemona del Friuli o davanti a crocifissi di piccole chiese di montagna, in alta quota. Sono cresciuta in una famiglia molto cattolica, per parte di madre, forse una sorta di compensazione del comunismo di parte di padre, escluso mio padre. Intorno al crocifisso si sono stabilite delle regole dentro di me. Legno sì. Povero sì. In luoghi isolati, sì. Di conforto, sì. Nutro profondo rispetto per chi ci vede un Dio morire per l’Uomo. Io lo guardo come simbolo di sofferenza umana. Di tortura. Di discriminazione. Per me oggi la croce è il simbolo della persecuzione di qualsiasi diversità.

Altrove il crocifisso era simbolo di potere. Era dorato, barocco, ricco, ostentato, tempestato di diamanti. Eppure era sempre un crocifisso.

Nelle scuole: stava là. Ricordo che un giorno in un liceo occupato, non il mio – ero lì per un’assemblea – venne capovolto con la scritta: Ge-sù, Ge-giù, Ge-più. Cose di ragazzi.

Crescendo ne ho compreso l’uso improprio, simoniaco. L’ho visto soffrire più per l’uso dei cristiani che per il ripudio degli atei.

Il burqua non è come il crocifisso, mio caro amico Alessandro. Il burqua in ogni caso copre i corpi, li nasconde. E non per proteggerli (eppure c’è chi lo sostiene), bensì per limitarli. Il corpo della donna non vuole e non deve essere protetto dall’animalità maschile. Il corpo della donna si libera quando, nudo, viene amato e non stuprato. Viene ammirato se bello, accolto se materno, amato anche deforme. Il burqua viola un principio terreno e puramente fisico: ci priva dei sensi.

Il crocifisso, invece, puoi scegliere tu cosa ritenerlo. Se è un pezzo di legno con un corpo di plastica come quelli squallidi nelle scuole oppure qualcosa da guardare, per chi ha fede, e a cui rivolgersi nei momenti di sconforto. Beato chi lo fa.

Il problema del crocifisso viene adesso. Se viene imposto per legge. Viene se lo consideriamo come un gesto apotropaico che scaccia il maligno, contraddicendo il concetto di libero arbitrio. Si svende se diviene un porta fortuna o la supremazia di un pensiero sull’altro.

Insomma non drammatizzo il crocifisso. Ma l’uso che se ne fa.

E sì, drammatizzo l’uso del burqa ed anche l’uso che se ne fa. Fermo restando che non è strappandolo di dosso alle donne appena arrivate che ci mostreremo tolleranti, bensì, forse, riscoprendo l’uso della parola, della cultura e della libertà. Imparandola ed insegnandola di nuovo.


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