“Non fate i bravi. Educare e normalizzare in Italia oggi.” Un’intervista agli Autori

Creato il 07 agosto 2014 da Criticaimpura @CriticaImpura

“Non fate i bravi”. Copertina: Sabrina Manfredi, *Uncanny*, 1993

Di SONIA CAPOROSSI

Il 25 luglio su Psychiatry Online è uscito l’e-book, consultabile e scaricabile liberamente, dal titolo Non fate i bravi. Educare e normalizzare in Italia oggi. Il volume è a cura di Claudia Boscolo con la Prefazione di Maria Maddalena Mapelli; contiene una serie di saggi di ampio respiro teorico, all’interno dei quali i vari autori interpellati sono partiti dall’analisi del format di Tata Lucia concepito come “uno dei tanti esempi con cui una pedagogia-propaganda plasma e normalizza le persone togliendo ogni spazio alla diversità, alla fragilità, ai vissuti di ciascuno, al mondo interiore, alle emozioni, alle relazioni”. Infatti, come si legge nella sinossi, “gli autori che hanno partecipato a questo e-book hanno, in primo luogo, analizzato gli aspetti sottesi all’ingiunzione di tata Lucia, a un paradigma pedagogico autoritario e irrispettoso della singolarità, del considerare ogni bambino o adolescente una persona irriducibile a ogni schematismo. Al tempo stesso, tuttavia, gli autori degli interventi ospitati in questa pubblicazione collettanea intendono proporre vie d’uscita tanto più urgenti quanto più evidente risulta il vuoto educativo che ci circonda. Toccando le più diverse sfere dell’azione sociale, gli interventi propongono una critica all’assioma per cui educare e tutelare significa imporre delle regole che siano applicabili a tutti, senza riguardo per le pulsioni individuali, per il contesto relazionale e per i diversi tipi di intelligenza che emergono fin dalla prima infanzia, i quali costituiscono già al loro emergere un primo segnale del formarsi dell’individuo con i propri talenti e le proprie caratteristiche. La tesi di questa miscellanea è quindi coerente in tutti gli interventi e si sostanzia in una discussione a più voci sul concetto di educazione e cura in Italia oggi nella sfera pubblica e privata, ovvero laddove la norma raggiunge gli individui trasformandosi in diktat.” 

Il libro sta sollevando in questi giorni un ampio dibattito fra gli addetti ai lavori. Critica Impura ha deciso di approfondire l’argomento intervistando Curatrice, Prefatrice e alcuni dei saggisti che hanno partecipato al progetto.

SC: Stigmatizzare il modello Tata Lucia che cosa significa, nel tempo dei mass media “liquidi”?

Maddalena Mapelli: L’idea è proprio quella di fermare, anche se solo per un istante, la liquidità, il flusso continuo di notizie in cui siamo ogni giorno immersi, soprattutto quando siamo connessi. Di qui la scelta di un titolo, di un’immagine di copertina e di una prefazione efficaci dal punto di vista comunicativo. Si è trattato per noi di far circolare un’immagine e delle parole che suonassero meno “vuote” delle tante altre immagini e parole che ci circondano quotidianamente. Allo slogan di Tata Lucia “fate i bravi” abbiamo contrapposto un punto di vista ben diverso che avesse, tuttavia, la stessa efficacia comunicativa. Un modo, quindi, di attirare l’attenzione di tutti, per poi far riflettere chi ha voglia di approfondire. I saggi contenuti nell’e-book sono complessi, ma il messaggio per chi lavora nella formazione e nell’educazione è molto semplice: non possono esistere regole facili e valide per tutti indistintamente, perché le persone sono portatrici di storie e culture diverse, di singolarità irriducibili. Il processo di formazione si costruisce nella relazione e non attraverso diktat indifferenziati. Quindi: un messaggio efficace dal punto di vista comunicativo e un’idea già ben presente a chi opera nei settori della formazione e dell’educazione e cioè che non ci sono scorciatoie percorribili.

Alessandro Siciliano: Per me significa semplicemente fare un po’ di esercizio critico, nel tempo in cui la formazione dell’individuo è chiaramente affidata ai mass media. Penso che ci si sia concentrati molto sul ‘godimento in TV’, cioè sui tanti modi in cui l’oracolo della famiglia illustrava il cosiddetto nuovo imperativo sociale “Godi!”; ora però è da qualche tempo che circola una schiera di specialisti che offrono l’antidoto al godimento, come se si volesse bilanciare l’economia libidica (e garantire la continuità dell’audience). Nel primo caso si fa appello al godimento – si pensi al paradigma della tv berlusconiana – mentre il secondo sembra esserne il rovescio. Il dietista, l’estetista, il cuoco (meglio se sadico), l’esperto di galateo, mi sembra siano tutte figure create per fare ordine, per recuperare un metodo che forse era andato perso; anche per sanare il senso di colpa, se vogliamo. La tata fallica, come la definisce Paolo Mottana, si colloca certamente in questa schiera.

SC: Quali materiali eterogenei sono stati messi insieme? Quale è la posizione ermeneutica di partenza dei vari partecipanti?

Maddalena Mapelli: L’idea condivisa è di resistere al “vuoto” che ci circonda e alle semplificazioni aberranti che circolano in tema di formazione e di educazione, tutte interne a un’ideologia del “pensiero unico”. Ogni autore ha risposto partendo dalla proprio percorso specifico, dalle proprie esperienze e pratiche. Siamo partiti da un assunto di base condiviso: esercitare attorno ai temi della formazione e dell’educazione un pensiero critico vigile, attento a filoni di pensiero che rendono praticabile un lavoro di decostruzione delle presunte ovvietà culturali che ci circondano (il pensiero di Foucault e Deleuze, la Scuola di Francoforte, i contributi del marxismo critico, la lunga storia della contro-educazione).

Alessandro Siciliano: Nel mio saggio utilizzo una prospettiva lacaniana. La critica lacaniana alla società contemporanea è ormai famosa in Italia grazie alla figura di Massimo Recalcati. Io però ho utilizzato un altro psicoanalista, Franco Lolli, che in un suo testo molto poliedrico dal titolo L’epoca dell’inconshow si concentra sul potere dell’immaginario nella nostra società. Alla famosa evaporazione del Padre e al conseguente infiacchimento dell’ordine simbolico del mondo corrisponde, per Lolli, l’avanzamento di un immaginario che, non più definito e strutturato dal primo, invade la realtà umana rendendola liquida, cioè perfettamente conforme al contenitore impostole. C’è qui da accostare immaginario e medium televisivo, o immaginario e réclame, cioè i luoghi in cui la cultura delle immagini ci è data. Il concetto di immaginario in Lacan è ovviamente molto più ampio, ma ci basti sapere qui che la relazione debolezza del sistema simbolico-cultura dell’immaginario-narcisismo e iperedonismo illustra bene, per i lacaniani, la forma del nuovo legame sociale. Lo studio delle nuove culture che attingono all’industria delle immagini lo trovo, d’altro canto, in sé interessante, ma penso che non dovremmo mai perdere di vista l’implicazione del mercato, il fatto cioè che siamo principalmente consumatori in rapporto allo show business, appunto l’industria dello spettacolo.

SC: All’interno del libro ci sono saggi abbastanza eterogenei, alcuni non inquadrano direttamente l’argomento pedagogico, ma, per così dire, lo aggirano alla lontana: ad esempio si parla di percezione del corpo, di complesso dell’Idra, di TV e immaginario “liquido”, di neuroscienze e governance, di biopolitica eccetera. Quale è il punto di vista metodologico o critico che dovrebbe fare da collante in direzione di un’analisi precipua del modello stigmatizzato?

Maddalena Mapelli: La bellezza di questo libro è che attorno al tema della formazione e dell’educazione sono chiamati a raccolta attrezzature disciplinari, saperi e pratiche differenti. Il presupposto è che nessun orientamento formativo ed educativo può prescindere dal considerare chi apprende come un soggetto da un lato costituito da relazioni, contesti culturali, tecnologie, e dall’altro a sua volta costruttore di relazioni, cultura e innovazioni. Si tratta della dialettica tra soggetto costituito e soggetto costituente (soggetto passivo e soggetto attivo) che tanta parte ha e ha avuto nel pensiero critico contemporaneo.

Riccardo Capecchi: Mi pare che ci sia un (parziale) fraintendimento sul fatto che l’e-book sia volto a demolire chirurgicamente il modello Tata Lucia. Questo lascia aperta quindi la domanda sulle diverse “metodologie” usate dagli autori per, appunto, decostruire Tata Lucia- e sul cosa c’entrino tutti gli altri saggi. A me pare che dalle varie parti che si sono occupate finora di questa pubblicazione non venga colta la struttura a spirale, che si concentra inizialmente sul caso particolare, per poi espandersi in tutte le direzioni. Questo si vedeva bene nell’idea iniziale, nella fase di composizione dei lavori, quando l’e-book aveva ancora come titolo di lavorazione Il vuoto che ci circonda. Il vuoto (almeno per me), in senso lato, è il collante – e queste sono le variegate armi proposte. Sulla famiglia (tradizionale o meno) le idee saranno variegate, tuttavia mi sembra inaccettabile la dicotomia che sottende il “ma allora, se criticate la tata, fate voi delle proposte per rafforzare la famiglia”.

Claudia Boscolo: In effetti questa raccolta di saggi nasce con l’idea di partire dal caso di studio della teletata e spingersi molto oltre nel vuoto educativo, informativo e in ultima analisi culturale che interessa questa società, in cui figure televisive si sostituiscono alle figure di riferimento della vita reale. Non ci interessava tanto il collante fra le varie proposte ermeneutiche, quanto che nel complesso si potessero offrire strumenti di interpretazione su cui poi ogni lettore potesse formarsi la propria idea. In questo senso, mi sembra che la pubblicazione abbia centrato il segno.

SC: Com’è sorta la collaborazione fra i partecipanti?

Maddalena Mapelli: Sia a partire da relazioni costruite in rete, su Facebook, sia a partire da relazioni di conoscenza personale. L’idea è venuta da un post su Facebook che criticava la banalità del libro di Tata Lucia visto in bella mostra nelle librerie italiane a ridosso di Natale. Di qui, la voglia di resistere al vuoto dilagante e al pensiero unico e di reagire proponendo percorsi diversi e alternativi.

SC: A me pare che un’educazione costrittiva non si dia che sempre più di rado, di contro ad un certo lassismo dilagante delle famiglie che delegano a istituzioni come la Scuola un compito educativo che dovrebbe essere il proprio e che viene sempre più confuso con l’istruzione. Al di là del parametro decostruttivo e analitico che mettete in atto, cosa ne pensate invece della volatilizzazione dell’educazione familiare attualmente in corso?

Maddalena Mapelli: Va indubbiamente contrastata la solitudine in cui a volte sono lasciati i bambini e gli adolescenti deprivati di presenze parentali importanti, spesso sostituite da surrogati come la TV o internet. Va ricordato alle figure parentali il loro ruolo insostituibile, la necessità di essere presenze attive a fianco dei figli e collaborative con le altre agenzie educative, come la scuola. Tuttavia non va taciuto il fatto che ci sono nelle famiglie italiane controspinte significative che costuiscono buone e solide alleanze con la scuola e le altre agenzie educative. Si pensi ad esempio alla presenza in questi ultimi anni di figure maschili, paterne, significative ed efficaci nella vita quotidiana dei figli anche dal punto di vista più strettamente affettivo ed emotivo. Si pensi ancora al vuoto che le famiglie stanno colmando nelle istituzioni scolastiche sempre più deprivate di organici e finanziamenti: senza il supporto di contributi volontari dei genitori e volontariato le scuole italiane sarebbero in condizioni ancora più critiche di quanto non lo siano oggi.

Alessandro Siciliano: Come dicevo sopra, in Italia questo aspetto è stato messo bene in luce da Recalcati. Trovo molto precisa la critica lacaniana della cosiddetta società ipermoderna. La volatilizzazione dell’educazione familiare, come la definisci tu, è sinonimo della lacaniana evaporazione del Padre, dove con “Padre” Lacan intende il significante cardine della struttura familiare. Il Nome-del-Padre è, nella teoria di Jacques Lacan, il terzo termine che si interpone nella relazione madre-bambino, distraendo entrambi dall’infatuazione narcisistica reciproca e introducendo il bambino all’Altro, con la A maiuscola, cioè il luogo dove si cerca ciò che non si ha (o non si ha più, o non si ha mai avuto), da cui il legame sociale. È successa una cosa curiosa: il discorso lacaniano sull’evaporazione del Padre è stato recepito da alcuni detrattori come un tentativo di restaurare quello stesso Padre di cui si è tanto – forse troppo – lamentata la scomparsa. Una sorta di manovra reazionaria volta a impostare le basi per un ritorno agli antichi valori o, peggio ancora, alle grandi ideologie del passato e al leader carismatico. Personalmente non sono d’accordo con questa interpretazione, non credo sia questo l’intento inconscio di questa psicoanalisi, pur riconoscendo qua e là alcuni inciampi moralistici. Credo sia importante invece lavorare su ciò che lo spirito del tempo propone: si possono dare società con leadership più partecipative? È possibile uscire da una logica meramente gerarchica-piramidale per iniziare a pensare a modelli di funzionamento sociale reticolari, orizzontali ed eterogenei? E ancora, tornando alla famiglia: se il padre della tradizione era colui a cui spettava l’ultima parola, dunque colui che era supposto sapere, quale potrebbe essere il ruolo dell’internet, colui che tutto sa, nella formazione delle nuove famiglie?

SC: Quali sono le vostre proposte fattive in tema?

Paolo Mottana: La famiglia è in via di scomparsa da molto tempo, almeno dagli anni ’60 e anche prima a seconda dei luoghi e dei contesti, se intendiamo in particolare la famiglia di stampo patriarcale. Si tratta di una transizione molto lenta, con sussulti, attriti e recuperi. Per quanto mi riguarda mi auguro che quel modello tramonti definitivamente, ben oltre ogni nostalgia di ritorni paterni più o meno presentati eufemisticamente. Lentamente altri modelli di convivenza, fluidi e plurali, di stampo etero, omo, trans, queer ma non solo, affiorano come nuove possibilità. Il traguardo di una società in cui i bambini e i ragazzi possano crescere all’interno di contesti davvero differenziati e molteplici, appare ancora lontano ma, personalmente, è quella la direzione che occorrerebbe favorire e auspicare, lavorando alla legittimazione di forme diverse di esperienza, al commiato dalla famiglia così come la conosciamo, ma anche della scuola così come la conosciamo, verso un pluriverso di incontri, passaggi comunicanti, esperienze concrete disseminate e raccordate in contenitori di elaborazione molto variegati. Per esemplificare mi riferisco all’idea di un contesto sociale in cui, accanto alla coppia parentale, più o meno biologica, sia al più presto affiancata una comunità di figure non necessariamente connesse dal vincolo di parentela ma da quello della cura e dell’iniziazione all’esperienza. Al posto della scuola l’inserimento precoce in ambiti di esercizio di attività individuali e gruppali reali stimolanti e diversificate (dal lavoro fisico al teatro, dall’espressione artistica alla progettazione manifatturiera o urbanistica, dalla musica alla filosofia, dalle arti marziali a quelle gastronomiche ecc.), tra le quali costruire momenti di raccordo, di rielaborazione riflessiva e critica, senza che questi ambiti siano necessariamente riconducibili a ciò che oggi chiamiamo scuola, piuttosto a luoghi animati da persone in grado di fecondare la ricerca personale, il dubbio, la scoperta e l’avventura culturale e esistenziale: maestri e mentori, al maschile e al femminile, di provenienza etnica, culturale, geografica diversa e aperti al confronto e al possibile. Figure che devono essere incontrate nei loro luoghi abituali di vita e di lavoro, non in alcuno spazio finzionale e artificiale. Infine, per quanto mi riguarda, mi auguro che la dimensione costrittiva si estingua completamente, per lasciare luogo all’esclusivo incontro con la dimensione del limite reale in contesti che necessitano di questo incontro al solo fine di realizzarsi, non per motivi disciplinari.


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