Non ho problemi a dire che quello che ha detto la maestrina in merito ai giovani l’ho pensato spesso anch’io. Non c’è lavoro, ma a lavare le macchine ci sono solo stranieri.

Creato il 23 ottobre 2012 da Slasch16

Se prendiamo una famiglia operaia degli anni 70 che è riuscita a far studiare un figlio, a mandarlo all’università, la prima frase che ti dice è: non deve fare i sacrifici che ho fatto io.
Non viene detta in senso ideologico e cioè diritti e garanzie per tutti, ma riferito al primo che nella famiglia ha studiato e quindi deve partire dall’alto a prescindere.
Ricordo che anni fa, parlando del lavoro che scarseggia, ho osservato che a lavare le macchine, fare i camerireri ed i lavapiatti nei ristoranti e così via erano solo gli immigrati e qualcuno di loro parlava pure tre lingue.
Ai tempi del muro di Berlino i miei amici che andavano all’est, Praga, Budapest ecc.ecc. mi hanno raccontato di spazzini, ora operatori ecologici, che parlavano tre lingue, diploma o laurea in tasca ma intanto si adattavano a fare quello che trovavano.
Ho pure aggiunto che se il giovane laureato ha dei nonni, o genitori, che lo mantengono e gli comprano la Golf non vedo perchè dovrebbe adattarsi a fare il fattorino, l’autista, gli conviene dormire e farsi l’aperitivo alla sera in attesa del lavoro che meriterebbe.
Altra cosa è chi ha delle capacità, conclamate, ma con uno stipendio da fame in una università. Penso ad un ricercatore, una ricercatrice, che è costretta ad emigrare perchè in Italia non le viene concesso spazio e merito.
Di casi ce ne sono parecchi.
Conosco personalmente un carissimo amico di mio figlio, laureato alla Bocconi, che appena avuta la laurea è andato a Londra a cercarsi un lavoro: 15/16 ore al giorno in un  ristorante.
Di famiglia benestante avrebbe potuto sedersi sul divano a guardarsi la Juve invitando pure gli amici ma ha preferito mettersi in gioco, spedire curricula intanto che puliva la cucina del ristorante sino a quando non ha trovato quello che cercava.
Oggi viaggia in businnes class, ha casa a Londra e mi fermo qui per rispetto alla sua privacy.
Non vorrei esssere frainteso, anche a me danno fastidio i figli di, magari incapaci, che entrano dal poltrone principale del palazzo del lavoro, basti vedere come sono ridotte le aziende di famiglia italiane che passano a figli o nipoti dei fondatori senza avere le capacità dei loro nonni.
Ne cito uno per tutti il presidente dell’Inter. E’ stato confinato all’Inter anche se spende milioni, per non fargli fare danni nell’azienda di famiglia.
Trovo che non sia giusto, intelligente, che la famiglia proletaria si sacrifichi ad oltranza in attesa che l’unico che ha studiato trovi l’occupazione che gli compete perchè non deve fare la vita che ho fatto io. E’ un disonore? Io dico che è un merito.
Molti giovani ci arrivano da soli e si danno da fare per non pesare sulla famiglia, altri addirittura si sono laureati lavorando, facendo piccolo lavoretti per tirare su le spese vive, che sono tante.
Se mio figlio fosse un laureato che mi bighellona in casa, perchè non trova un posto da architetto, lo inviterei a trovarsi un qualsiasi tipo di lavoro in attesa che il vento cambi.
Penso che la maestrina abbia inteso dare questo messaggio. Ovvio che il messaggio in questione non tocca la sua figliola che ha trovato subito l’impiego non perchè è figlia di ma perchè è un fenomeno.
Anche il Trota è laureato, in Albania, ma non trovando lavoro si è adattato a fare il dirigente della lega, il presidente della nazionale di calcio padana ed il consigliere regionale in Lombardia.
Ecco, i giovani dovrebbero seguire gli esempi migliori, la figlia della Fornero ed il Trota.
Detto questo ed a parte gli scherzi trovo giusto che un giovane che cerca lavoro si adatti a quello che trova  senza ovviamente fermarsi ma che sia un punto di partenza per arrivare alle sue aspirazioni.
Potrebbe entrare come fattorino in una industria e poi lanciarsi con le sue capacità e con il suo titolo di studio.
Quando eravamo ragazzi noi il lavoro si trovava. La famiglia non ti chiedeva che tipo di lavoro avevi trovato ma se avevi trovato “un” lavoro.
Più tardi sono diventato un quadro e gestivo un reparto, vi racconto cosa mi è successo.
Mi si presenta una bella signora accompagnata da un ragazzotto tipico dei tempi dicendomi che cerca lavoro per il figliolo.
Le dico che avrei bisogno come magazziniere, lei mi risponde che il ragazzo ha un diploma. Intanto impari a fare il magazziniere, se è bravo potrà passare al banco con il computer.
La signora mi chiede gli orari di lavoro, sa non ha la patente e noi veniamo da Melzo, mi pare, devo capire a che ora si deve alzare, prendere il pulman per arrivare qui alle 8,30.
L’orario non si può cambiare vero?
No, signora, non si può. Lei ha la patente? Si, risponde, l’ho portato io qui.
Allora potrei assumere lei, risolveremmo il problema del ragazzo che non dovrebbe  alzarsi presto.
Se è per questo mi è pure capitato uno con diploma che cercava un lavoro da stare seduto, ammiccando alla scrivania di fianco alla mia.
Qui abbiamo solo due sedie, ho risposto, e sono già occupate.
Credo che la maestrina alludesse a situazioni di questo tipo, che non capiteranno mai alla sua famiglia, ma penso si debba essere disponibili ad un certo sacrificio in attesa di tempi migliori o come opportunità per mettere in campo le proprie capacità.
Si porta a casa qualcosa ed intanto ci si guarda intorno.
Conosco uno che era un programmatore con la passione della cucina, adesso fa il cuoco a Londra. Ci sono passato sulla mia pelle.
Ce ne sono tantissimi di giovani che si sono inventati pizzaioli o altro, che sono emigrati in cerca di opportunità che qui non si possono cogliere.
Lungi da me considerare questa situazione come giusta, è il capitalismo sfrenato e parassita che determina queste condizioni ma, se la famiglia non ce la fa, bisognerà pur darsi una mossa.



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