Ieri sera, su Canale 5, il padrone ha messo in atto la sua controffensiva sulla questione femminile e sulla rappresentazione della donna nei media. Nella puntata di Matrix andata in onda alle 23:15, infatti, è stato proiettato un documentario (o “un’esclusiva inchiesta”, come si legge sul sito Mediaset, curata – udite udite – dalla redazione di “Striscia la notizia”) che fa il verso al più noto “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo e che si proponeva di dimostrare (cito sempre dal sito di Mediaset) come siano le “nefandezze” della pubblicità della carta stampata a sfruttare il corpo femminile e non tanto, “realmente”, la televisione.
Ci si potrebbe dilungare sulle gran risate che ci possiamo concedere mentre pensiamo alla redazione di “Striscia” in lotta per la difesa del corpo femminile dallo sfruttamento, o sul fatto che la disgustosa operazione prendesse di mira quasi esclusivamente il sito de “La Repubblica” e la pubblicità sulle pagine di quel giornale, a voler dimostrare che “i progressisti”, come li si definiva nel documentario, collaborano alla costruzione di uno specifico immaginario per quanto riguarda l’idea del femminile. Ma per chi – e non da ieri – presta attenzione a queste cose, non è certo una gran scoperta che lo sfruttamento del corpo femminile venga tanto da destra quanto da sinistra.
Piuttosto, mi sembra interessante notare due cose, principalmente. Innanzi tutto, in studio c’erano diverse ospiti (Alessandra Mussolini, Ritanna Armeni, Paola Concia, Gabriella Germani) e un solo ospite, ossia Gianluca Nicoletti. Oltre al conduttore, c’era dunque un unico uomo. Quello che mi è sembrato evidente è che tutte le donne fossero perfettamente consapevoli del problema e del fatto che non si possa fare alcuna distinzione di parte politica o di orientamento culturale: i media italiani, fatta eccezione per La7, che con Gad Lerner ha sempre mostrato un atteggiamento diverso, non si distinguono quanto a uso del corpo femminile. E c’è un’emergenza, a questo proposito. Tutte le donne in studio concordavano su questo, e nonostante – com’è naturale – le loro posizioni fossero diversificate, mi è sembrato che emergesse una consapevolezza comune: una consapevolezza che non saprei come definire se non “di genere”. Perché soltanto il fatto di possedere quel corpo, evidentemente, quello stesso corpo che viene reso un oggetto, e come tale usato, mercificato, frantumato, ritoccato, plasmato, isolato, può dare la consapevolezza di quanto sta accadendo, che evidentemente dipende da un sentire che agli uomini è in parte negato, o a cui gli uomini non riescono ad accedere. Tant’è che gli uomini in studio si sono mostrati quanto meno inadeguati all’analisi che si stava conducendo.
(Detto questo, tutta la mia solidarietà va a Lorella Zanardo e alla disgustosa violenza alla quale il suo documentario è stato sottoposto ieri sera.)