Rimango sempre strabiliato quando l’argomento principale che viene portato per la costruzione di una nuova strada è la costruzione di una strada. Mi spiego meglio: l’amministrazione di Solbiate ha deciso che per alleggerire la quantità di traffico in uscita dallo svincolo di Pedemontana di Solbiate verrà costruita una nuova strada, che, costeggiando il campo da golf, metterà in collegamento la provinciale tra Solbiate e Olgiate (SP 22) e la strada che costeggia l’Iper (SP 2). Da sempre andiamo dicendo che lo svincolo di Solbiate non sarà un bene per Solbiate, perché oltre a radere al suolo un bosco intero – le cui piante non avranno un particolare valore ambientale e naturalistico, ma sempre bosco è – porterà molto traffico in uscita.
Ecco, finalmente abbiamo la soluzione: costruire una nuova strada. Questo tipo di cure omeopatiche al territorio non fanno bene. Dando uno sguardo alla foto qui sotto mi sono detto che siamo arrivati al punto di contatto, o di rottura:
Ma siccome discorsi di questo tipo difficilmente trovano ascolto, cerco di portare la riflessione sul piano economico. L’incessante urbanizzazione e il modello di sviluppo “per rimediare alla costruzione di una strada costruisco un’altra strada”, di cui abbiamo descritto un esempio perfetto, fanno sì che in Lombardia vengano consumati 12 ettari di territorio al giorno. Un ettaro corrisponde a un quadrato di lato 100 metri: 2 campi da calcio. 24 campi da calcio al giorno, e noi contribuiamo a questo disastro. Il fatto economico sta nelle risorse che la terra è in grado di offrire (ci sarebbero anche le capacità ambientali, legate, ad esempio, alla qualit dell’aria, ma questo è discorso da ambientalisti…), e cioè le risorse agricole. Grano, granturco, soia, riso e molte altre, con le quali sfamiamo noi stessi e sfamiamo gli animali di cui poi ci cibiamo. Ecco, a fronte del consumo di 24 campi da calcio al giorno, esistono Paesi che stanno acquistando porzioni di territorio delle dimensioni della Lombardia, in giro per il mondo. Si tratta di Paesi come Cina, Corea del Sud, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti. Per capire la portata di questi movimenti economici basta leggere certi numeri. Secondo Oxfam, nell’ultimo decennio una superficie di 227 milioni di ettari, pari a sette volte l’Italia, ha cambiato proprietario. L’ong inglese ha analizzato circa 1.100 accordi relativi all’acquisizione di 67 milioni di ettari: il 50 per cento delle compravendite ha riguardato l’Africa, per un’area pari quasi alla superficie dell’intera Germania.
L’obiettivo è, ovviamente, quello di assicurarsi risorse, o di assicurarsele a dei prezzi ragionevoli, nei prossimi anni. Perché? Perché i prezzi sono destinati ad aumentare. Perché la popolazione mondiale è in aumento, perché la classe media di questi Paesi si sta ampliando – e la classe media vuole mangiare di più e meglio, non si accontenta di una ciotola di riso -, perché dal mais si può ricavare l’etanolo (al momento con forti dubbi sull’economicità dell’impresa, ma con la ricerca chi può dire che il mais non diventi un concorrente del petrolio), perché i prezzi delle materie prime, in alcuni momenti storici, sono fortemente correlati, e se sale il prezzo del petrolio, o dell’oro, o del rame, o dello zucchero, sale quello del grano. E se sale quello del grano potrebbe salire quello del cacao, o del caffè. E se ci si mette di mezzo la speculazione sono guai.
Il grano noi ce lo mangiamo, tutti i giorni, in quantità industriali. Però preferiamo il cemento.
Se siete interessati all’argomento, qui e qui trovate due contributi.
Tutto questo per dire che non condivido e non condividerò mai il consumo di un solo metro quadrato aggiuntivo di territorio. Che dobbiamo partire da qui, dallo stop al consumo di territorio, per pianificare e attuare politiche di lungo periodo.
Per concludere mi chiedo a che punto siamo con il Piano di Governo del Territorio e a cosa stia lavorando la commissione urbanistica, mentre vengono annunciate opere di tale impatto. (E non ditemi che la strada sarà interamente sul territorio di Olgiate, perché è peggio dell’argomento dal quale siamo partiti).