È già passato un anno da quando migliaia di donne sono scese in piazza in tutta Italia contro la «ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale», sull’onda dell’indignazione per un ex premier che ha confuso carriere verticali e orizzontali. L’era berlusconiana ha dato nuova linfa machista alla reificazione del corpo femminile, premiato per i suoi servigi con una serie di optional direttamente proporzionali al livello di soddisfazione dell’ormai mitico utilizzatore finale: dalla farfallina bijoux alle comparsate in tv, dall’appartamentino in residence all’ingresso in politica. Le belle immagini della manifestazione sono ancora fresche nella nostra memoria: palloncini, fili colorati, un senso confortante di compattezza nella protesta e nella ritrovata solidarietà di genere.
Bisogna riconoscere a Berlusconi, leone ormonale all’ombra di qualche lenone, di aver rappresentato un formidabile fattore di aggregazione spontanea: il suo grottesco delirio di onnipotenza sessuale, con pubblica glorificazione delle meritevoli di impari opportunità, ha corroborato pregiudizi e tendenze latenti nella nostra società, innalzandoli a rampante stile di vita. Lo schiaffo alla dignità della donna era eclatante, sfacciato, insostenibile.
Dopo l’avvicendamento Berlusconi-Monti, la principale preoccupazione del movimento “Se non ora quando” è quella di crescere “senza essere bollato come antiberlusconiano”, portando una diffusa consapevolezza del ruolo della donna in ogni settore della vita pubblica: una consapevolezza ancora lontana da livelli accettabili, vista la scarsa percentuale di donne in posti di potere. Tuttavia, senza il collante delle gesta dell’ex premier, il movimento si è spiaggiato alla ricerca di un’identità fatalmente instabile come quella spontanea e apartitica che lo ha generato.
Uno dei suoi obiettivi dichiarati, un welfare più giusto e un sistema di tutele non più declinato solo al maschile, rischia peraltro di fallire in un momento storico in cui sono tre donne molto particolari a decidere dei destini del lavoro: Emma Marcegaglia, Elsa Fornero e Susanna Camusso. Che confermano, in modo assai diverso rispetto alle papi girls berlusconiane, la perdurante patologia del rapporto tra donne e potere nel nostro Paese: la vitrea presidentessa di Confindustria parla con piglio maschio dell’articolo 18 come di un’anomalia che condiziona la “flessibilità in uscita”, la ministra sacrificale rifiuta ogni connotazione di genere e non vuole essere chiamata col “la”, la combattiva segretaria della Cgil è sfiorata da illazioni su intese informali con Monti alla vigilia della temuta riforma “ellenica” del mercato del lavoro.
Non è un caso che sia passata sotto silenzio, proprio in questi giorni, la divulgazione dei dati di uno studio sul gender pay gap portato avanti congiuntamente da Inps, Istat e ministero del lavoro: lo stipendio delle donne italiane è più basso del venti per cento di quello degli uomini, né si accompagna a parità di chances. La riforma del mercato del lavoro sponsorizzata dall’esecutivo in carica rischia di rendere la donna contrattualmente vulnerabile, meno garantita nell’ingresso, nella carriera e nell’uscita (traumatica, non flessibile). Non possiamo però più dire che nella “stanza dei bottoni” si respiri “ancora troppo testosterone”, per usare le parole delle animatrici di “Se non ora quando”. La cabina di regia è tutta al femminile, in un’inedita “quota rosa” che fa pensare stranamente a una Marcegaglia in tinta pastello: nonostante la presenza di donne in posti-chiave, la cultura delle pari opportunità è ancora embrionale. Su quella occorre lavorare capillarmente e c’è ancora molto da fare, al di là dei “sex equality parties” e delle adunate di piazza.
Divise tra estrogeni e testosterone, tra rughe forneriane e silicone santanchesco, le donne che ci rappresentano pubblicamente sono molto lontane dalla complessa bellezza del mondo femminile e lo avviliscono diventandone la caricatura o la negazione. Per curiosa coincidenza, l’anello di congiunzione tra la Santanché e la Fornero è Michel Martone, che manda riconoscenti fiori alla prima per averlo difeso dagli attacchi contro le esternazioni sui laureati sfigati. Ci chiediamo, sempre più perplesse, quale sia l’anello di congiunzione tra queste persone e noi.