Pubblicato da
Andrea Marzella
Cari lettori di Diario,
noi tutti usiamo Facebook, è ovvio; forse abbiamo anche un account Twitter, che si sa, è chic; forse siamo soliti anche comporre favolosi collage con Pinterest; per organizzare la libreria, molto probabilmente abbiamo un account di Anobii; abbiamo scelto Linkedin per il lavoro, non si sa mai; insomma, avete già capito dove voglio andare a parare: i social network fanno parte della nostra vita e ormai nessuno si stupisce più di questo, anzi, probabilmente vi state trattenendo uno sbadiglio di fronte a un argomento che fa tanto 2009. C’è però da considerare una cosa: mentre noi caricavamo le foto dei nostri gatti, le aziende — case editrici comprese — correvano verso i social network con una bava alla bocca che non si vedeva dai tempi della corsa all’oro: fare promozione alla propria attività praticamente a costo zero? Prendete pala e picconi! Peccato che a fronte di un entusiasmo esagerato non sempre si accompagni la giusta dose di preparazione.
Facendo un salto nelle pagine Facebook ufficiali delle case editrici italiane, quello che si nota maggiormente è uno schema di comunicazione ancora fermo al modello pubblicitario dei media tradizionali. Facebook è semplicemente una vetrina su cui piazzare il libro da lanciare e raccogliere una manciata di “Like” e, se va bene, qualche commento da parte dei lettori. Il problema è che il flusso soporifero degli aggiornamenti viene completamente assorbito dalla corrente ininterrotta di informazioni. La notizia di un nuovo titolo in arrivo nelle librerie è un messaggio in una bottiglia: in un mare colmo di messaggi in bottiglia, il lettore potrà leggerlo solo per puro caso. Se il lettore non è portato ad affezionarsi alla pagina ufficiale della casa editrice, avrà un rapporto freddo e scostante con gli aggiornamenti e a quel punto le foto dei gatti avranno sempre la meglio.
Il quadro potrebbe risultare deludente ma si tratta comunque di un’impressione a colpo d’occhio. Se guardiamo più da vicino, la situazione non è certo così omogenea. Alcune case editrici dimostrano infatti di aver adottato una strategia mirata e, soprattutto, di aver investito delle risorse: la pagina Facebook diventa un luogo dove i lettori si possono confrontare tra di loro, un posto dove è possibile partecipare a concorsi e vincere dei premi, dove si possono avere informazioni e immagini quasi più interessanti delle foto dei gatti. La cosa più stupefacente di queste pagine è che i lettori si rivolgono con grande disinvoltura alla casa editrice, magari per chiedere la data di uscita di un libro, per sapere se un titolo è ancora in catalogo, oppure per avere consigli di lettura. La conversazione diretta tra lettore e casa editrice è allegra, appassionata, ma soprattutto è mantenuta viva con contenuti studiati appositamente per il mezzo. Ma non si tratta solo di una questione di risorse: ci sono case editrici minori che dimostrano di curare la propria immagine social con la scelta di proporre temi culturali, magari in simbiosi con un blog parallelo, creando così un rapporto caldo coi lettori, lasciati ad esprimersi su un tema letterario. È un modo per fare promozione in maniera elegante e originale, e dimostra che il lettore non è considerato solo come potenziale acquirente del libro ma è come se fosse accompagnato all’interno dell’immagine romantica della casa editrice, un’officina di cultura popolata da amanti delle lettere.
La situazione, però, non è sempre così idilliaca. Ad esempio ci sono editori che peccano a tal punto di progettualità che finiscono col tramortire il lettore a suon di link: la rassegna stampa del libro appena uscito, l’articolo della novità, le copertine dei titolo che saranno pubblicati il mese prossimo, le chicche prese dal catalogo, l’intervista all’autore, l’immagine divertente; tutto questo senza soluzione di continuità, tradendo un’ansia di visibilità che non lascia né il fiato né il tempo per stimolare un vero dialogo. Dialogo che in alcuni casi può anche prendere pieghe forse non del tutto inaspettate ma di sicuro difficili da gestire: sto parlando delle critiche. Di recente in Facebook è scoppiata una rivolta contro la decisione di un editore di non pubblicare il terzo e conclusivo volume di una saga dal successo commerciale limitato. I lettori che avevano letto con passione i primi due volumi si sono, quindi, raccolti in una pagina di protesta in cui chiedono a gran voce di poter leggere il capitolo finale della loro amata saga. Accesa la miccia, i lettori hanno cominciato a pungolare la casa editrice direttamente nella pagina ufficiale. La situazione non è nuova, ma è interessante il modo in cui l’editore ha fatto fronte alla pioggia di critiche: ricorrendo al caro, vecchio, comunicato. Freddo, anonimo e tardivo, il comunicato non rappresenta una soluzione valida perché alza un muro tra la casa editrice e il lettore, costretto ad alzare ulteriormente la voce per farsi sentire in un luogo in cui non dovrebbero esserci barriere. Il risultato, infatti, è stato quello di inasprire i toni già di partenza parecchio acrimoniosi. Da una parte la casa editrice si barrica dietro a logiche di mercato e una scelta comunicativa inadeguata, dall’altra i lettori — sordi alle ragioni legittime dell’editore — usano ogni mezzo e minaccia per ottenere quello che vogliono. L’assedio continua, ma la speranza è che, nel caso si ripresentasse un caso simile, ci sia un piano per affrontarlo; magari più improntato sulla tempestività, il contatto umano e la spontaneità.
In sintesi, il dialogo tra lettore ed editore risulta ancora acerbo e poco equilibrato ma, come tutte le novità, ha grandi potenzialità, non solo in termini di promozione e di immagine. In un mercato editoriale in cui si rincorre il successo affidandosi alla legge dei grandi numeri — più titoli pubblicati, maggiori possibilità di avere un best seller — i social media, se usati in maniera efficace, potrebbero rappresentare per gli editori una bussola per direzionare le loro scelte. Attraverso il dialogo diretto, i social media sono un bacino di informazioni sui gusti dei lettori e sulle loro aspettative: dati grezzi prodotti con la naturalezza di chi ama parlare di libri, dati che aspettano di essere raccolti ed elaborati, dati che potrebbero fornire indicazioni precise su cosa i lettori vogliono leggere. Se le case editrici sapranno cogliere questa opportunità, allora potranno dire di aver trovato davvero la loro miniera d’oro.