"Don't think, shoot!" è lo slogan prescelto dal movimento della Lomografia per lanciare i propri prodotti, e cioè le fotocamere giocattolo come le Holga o quelle ex-sovietiche come la stessa Lomo (anch'essa, però, prodotta oggi in Cina...). Il concetto è in realtà "filosofico", legato strettamente alle modalità di ripresa. I Lomografi (e in generale i seguaci del movimento Lo-Fi, a cui mi ascrivo anch'io) puntano tutto sull'istintualità e sulla rapidità, in contrapposizione a un modo "tradizionale" di fare fotografie che prevede invece di essere lenti e ponderati, concentrati e precisi. Il lomografo non inquadra, nel momento in cui vede un'immagine prende al volo la sua macchinina fotografica, come farebbe un cowboy del Far West nell' impugnare la fida Colt, e spara la fotografia senza star lì troppo a ragionare. Il risultato? Nel 90% dei casi una vera schifezza. Ma c'è quel 10%... Fatta la foto, indubbiamente, un po' di tempo ci vuole per far avanzare la pellicola (niente motori di avanzamento, è ovvio, e con la Holga si utilizzano rulli 120 che sono particolarmente lenti da questo punto di vista), ma in pochi secondi l'arma è di nuovo carica e si è pronti per il prossimo duello con la realtà. Personalmente, ho un approccio alla fotografia Lo-Fi molto meno istintuale e veloce, mi piace miscelare le tecniche "normali" (addirittura l'uso del cavalletto!) con quelle lomografiche, ma comunque debbo dire che tutto questo movimento è divertente, creativo e stimolante. Bene. Il punto però è che lo slogan da cui siamo partiti rischia di diventare deleterio e addirittura estremamente pericoloso per l'ambiente e la natura. Ci riflettevo proprio l'altro giorno, effettuando una ricerca sulla Rete. Circa 7 anni fa (cavolo, sono tanti!) ho abbracciato con entusiasmo il digitale non solo per le sue possibilità creative e tecniche, ma anche perché consentiva un netto risparmio di risorse e dunque di inquinamento. Per me che sono ambientalista e vegetariano, ripensare alle caterve di diapositive, con i loro telaietti in plastica, gettati via perché inutilizzabili (da un rullo di diapositive da 36 pose si ricavavano 6-7 foto buone, se andava bene), mette ancora l'angoscia (con quello che costavano, poi..)! E se ripenso alle schifezze che ho gettato nello scarico del lavandino sviluppando i rulli bianco e nero e stampando le foto in camera oscura, rischio la sincope! Riprendendo a utilizzare, almeno parzialmente, la pellicola (con la Holga e le Vintage Cameras è inevitabile) e a sviluppare da me i rulli B&N, sono stato preso di nuovo dagli scrupoli: lo sviluppo è sempre usa e getta, e dove lo si getta, se non nello scarico del bagno? Certo, lo si dovrebbe raccogliere e portare negli appositi punti di smaltimento (come prescrive la legge), ma questi punti erano pochi e dislocati chissà dove già vent'anni fa, figuriamoci oggi! Inoltre, le quantità sono comunque ridicole, e la cosa diventerebbe quantomeno complicata. Leggendo cosa provoca all'ambiente l'Idrochinone, uno dei componenti fondamentali degli sviluppi per pellicole bianco e nero, mi ha preso un colpo. E allora, che fare? Beh, personalmente, dopo la fiammata di entusiasmo, ho deciso di smettere di svilupparmi da solo i rulli: ritornerò alla mia amata Ilford XP2, una pellicola cromogena bianco e nero che si deve sviluppare nei bagni C-41 per pellicole a colori. In questo modo, porterò i miei rulli a un laboratorio, che li svilupperà nei suoi macchinari professionali, in cui i chimici vengono smaltiti secondo la legge (almeno si spera!), evitando dispersioni nell'ambiente. Anche se le quantità di rulli sviluppati presso i laboratori si è drasticamente ridotta, per questi ultimi ha comunque ancora senso avere dispositivi di raccolta, smaltimento e depurazione, cioè tutti quei meccanismi che renderebbero la vita impossibile al singolo fotografo. Rimetterò la mia tank e le bottiglie a soffietto in un angolo buio del mio studio, ed eviterò così di contribuire a peggiorare le già precarie condizioni di salute dell'ambiente, nella speranza che salti fuori qualcuno che abbia voglia di inventare uno sviluppo "ecocompatibile". Insomma, quando scattiamo una fotografia con la nostra Lomo o la Holga, magari non pensiamo alla foto da fare... ma per favore pensiamo all'ambiente che ci circonda!
"Don't think, shoot!" è lo slogan prescelto dal movimento della Lomografia per lanciare i propri prodotti, e cioè le fotocamere giocattolo come le Holga o quelle ex-sovietiche come la stessa Lomo (anch'essa, però, prodotta oggi in Cina...). Il concetto è in realtà "filosofico", legato strettamente alle modalità di ripresa. I Lomografi (e in generale i seguaci del movimento Lo-Fi, a cui mi ascrivo anch'io) puntano tutto sull'istintualità e sulla rapidità, in contrapposizione a un modo "tradizionale" di fare fotografie che prevede invece di essere lenti e ponderati, concentrati e precisi. Il lomografo non inquadra, nel momento in cui vede un'immagine prende al volo la sua macchinina fotografica, come farebbe un cowboy del Far West nell' impugnare la fida Colt, e spara la fotografia senza star lì troppo a ragionare. Il risultato? Nel 90% dei casi una vera schifezza. Ma c'è quel 10%... Fatta la foto, indubbiamente, un po' di tempo ci vuole per far avanzare la pellicola (niente motori di avanzamento, è ovvio, e con la Holga si utilizzano rulli 120 che sono particolarmente lenti da questo punto di vista), ma in pochi secondi l'arma è di nuovo carica e si è pronti per il prossimo duello con la realtà. Personalmente, ho un approccio alla fotografia Lo-Fi molto meno istintuale e veloce, mi piace miscelare le tecniche "normali" (addirittura l'uso del cavalletto!) con quelle lomografiche, ma comunque debbo dire che tutto questo movimento è divertente, creativo e stimolante. Bene. Il punto però è che lo slogan da cui siamo partiti rischia di diventare deleterio e addirittura estremamente pericoloso per l'ambiente e la natura. Ci riflettevo proprio l'altro giorno, effettuando una ricerca sulla Rete. Circa 7 anni fa (cavolo, sono tanti!) ho abbracciato con entusiasmo il digitale non solo per le sue possibilità creative e tecniche, ma anche perché consentiva un netto risparmio di risorse e dunque di inquinamento. Per me che sono ambientalista e vegetariano, ripensare alle caterve di diapositive, con i loro telaietti in plastica, gettati via perché inutilizzabili (da un rullo di diapositive da 36 pose si ricavavano 6-7 foto buone, se andava bene), mette ancora l'angoscia (con quello che costavano, poi..)! E se ripenso alle schifezze che ho gettato nello scarico del lavandino sviluppando i rulli bianco e nero e stampando le foto in camera oscura, rischio la sincope! Riprendendo a utilizzare, almeno parzialmente, la pellicola (con la Holga e le Vintage Cameras è inevitabile) e a sviluppare da me i rulli B&N, sono stato preso di nuovo dagli scrupoli: lo sviluppo è sempre usa e getta, e dove lo si getta, se non nello scarico del bagno? Certo, lo si dovrebbe raccogliere e portare negli appositi punti di smaltimento (come prescrive la legge), ma questi punti erano pochi e dislocati chissà dove già vent'anni fa, figuriamoci oggi! Inoltre, le quantità sono comunque ridicole, e la cosa diventerebbe quantomeno complicata. Leggendo cosa provoca all'ambiente l'Idrochinone, uno dei componenti fondamentali degli sviluppi per pellicole bianco e nero, mi ha preso un colpo. E allora, che fare? Beh, personalmente, dopo la fiammata di entusiasmo, ho deciso di smettere di svilupparmi da solo i rulli: ritornerò alla mia amata Ilford XP2, una pellicola cromogena bianco e nero che si deve sviluppare nei bagni C-41 per pellicole a colori. In questo modo, porterò i miei rulli a un laboratorio, che li svilupperà nei suoi macchinari professionali, in cui i chimici vengono smaltiti secondo la legge (almeno si spera!), evitando dispersioni nell'ambiente. Anche se le quantità di rulli sviluppati presso i laboratori si è drasticamente ridotta, per questi ultimi ha comunque ancora senso avere dispositivi di raccolta, smaltimento e depurazione, cioè tutti quei meccanismi che renderebbero la vita impossibile al singolo fotografo. Rimetterò la mia tank e le bottiglie a soffietto in un angolo buio del mio studio, ed eviterò così di contribuire a peggiorare le già precarie condizioni di salute dell'ambiente, nella speranza che salti fuori qualcuno che abbia voglia di inventare uno sviluppo "ecocompatibile". Insomma, quando scattiamo una fotografia con la nostra Lomo o la Holga, magari non pensiamo alla foto da fare... ma per favore pensiamo all'ambiente che ci circonda!