N.B.: questo non sarà un post allegro, non sarà nemmeno un post utile. Con tutta probabilità è la constatazione di una condanna nascosta nel cuore di ogni uomo. La condanna a vivere, malgrado tutto.
A chi mi leggerà la mano
Io leggerò gli occhi
Così persi a cercare nelle mie linee
Le loro verità.
Alla fine l’ho capito. Magari è una vita che l’ho capito. Ma succede che certe cose le metti a fuoco solo dopo. Quello che ci frega in determinate circostanze è l’orgoglio, ma c’è una cosa ancora più tremenda. Perché all’orgoglio puoi riparare, diciamo, almeno finché sei in tempo. Per un’occasione persa se ne presenta qualche altra (si, non come la prima, non preziosa come la prima, né più né meno: semplicemente diversa. E in questo momento mi sento un ottimista).
Quello che ci frega davvero è la malinconia.
Non tanto la nostalgia di cose passate, ma una sorta di stato dell’essere del tutto indefinibile, quando si abbandonano i ricordi e anche il materiale, per lasciar spazio ai sogni, ai desideri.
In quel momento non importa il fatto che quei sogni siano o non siano realizzabili. A dirla tutta non sai nemmeno di preciso cosa effettivamente stai sognando. È piuttosto un immaginare l’arco della propria esistenza e attraversarlo silenziosamente come un fantasma balzando da uno stato d’animo all’altro come fanno le api con i fiori.
E non c’è una pillola da mandare giù e ingoiare per far sparire questa “malinconia”. Ce la portiamo dietro tutta la vita, è il canto disperato dell’anima, è il male di vivere di cui parlava Montale, è la colonna sonora che accomuna tutti noi, di qualsiasi razza ed estrazione sociale.
Mi sento essere umano in quanto essere malinconico.
La malinconia è lotta contro la solitudine. Una lotta vana.
Un desiderio di desideri: la malinconia. (Lev Nikolaevic Tolstoj)