È finita come ci si aspettava, ossia con la vittoria di Danilo Medina, il candidato del Partido de la Liberación Dominicana, che manterrà così il potere per altri quattro anni. Si tratta di una nuova vittoria per Leonel Fernández, il presidente uscente e leader indiscusso del PLD che, inibito ormai dalla Costituzione ad un quarto mandato si è assicurato il controllo diretto sugli affari di Stato: sarà infatti sua moglie, Margarita Cedeño, a svolgere le funzioni di vicepresidente.
La campagna elettorale non è stata certo pacifica: due morti, scontri tra i diversi bandi, lanci di sassi e bottiglie di cui è stato fatto oggetto lo stesso Fernández raccontano un clima di intimidazione, dal quale non si sono dissociati nemmeno i candidati che, lungi dal moderare i termini, hanno contribuito all’escalation di violenza. La ruggine tra i due principali contendenti (su sei candidati in totale), datava da lungo tempo, almeno dalle presidenziali del 2000, quando Danilo Medina, oggi eletto affrontò senza fortuna Hipólito Mejía (Partido Revolucionario Dominicano), a cui toccò allora la vittoria. Le scaramucce sono continuate anche dopo i primi bollettini ufficiali, con il PRD che ha disconosciuto la vittoria di Medina ed ha accusato la Giunta elettorale di manipolare i dati.
Economista, 61 anni, ex ministro, Medina, dovrà far fronte alle urgenze sociali ed economiche di un paese che ha bisogno di incisive e coraggiose riforme. Con più di quattro milioni di visitatori l’anno, al di fuori dei circuiti classici del turismo, la Repubblica Dominicana è un paese ancorato ad antichi sistemi di sfruttamento ed a forti contraddizioni sociali. Nel dicembre scorso Amnesty International, la Commissione nazionale per i diritti umani ed altre organizzazioni hanno provato a denunciare le deficienze del sistema e le violazioni ai diritti delle persone, trovandosi però di fronte il classico muro di gomma delle istituzioni.