Non stavamo meglio quando stavamo peggio

Da Mcnab75

Ah, l’odore dei girasoli!

La modernità non è altro se non il presente in cui, volenti o nolenti ci troviamo a vivere. Ogni epoca può essere definita moderna rispetto alla precendete. Sì, è una banalità, ma nemmeno poi tanto, se ci pensiamo.
Puntuali come l’influenza di stagione, drappelli di nostalgici del bel mondo antico attraversano le epoche per puntare il dito contro il superfluo che, a loro dire, ha minato la morale, la coesione sociale etc. Queste denunce rétro vengono solitamente portate avanti con… le migliori tecnologie che offre l’epoca sotto accusa.
Le battaglie luddiste combattute su Facebook, per esempio, sono patetiche. Se frequentate il noto social network vi sarà capitato di imbattervi in qualche meme che santifica con parole nostalgiche “i bei tempi di una volta”, in cui i bambini si divertivano a giocare con le biglie, gli adulti avevano sani lavori che li facevano arrivare a sera stanchi, sporchi e sudati, ma temprati nel fisico.
Mica come i fighetti di oggi, che si divertono a rispondere ai call center per guadagnarsi i soldi per comprare l’iPhone.
Già, a proposito, vogliamo parlare del fascino che avevano le telefonate dalla cabina? O del fatto che se ti si fermava la macchina nel bel mezzo di una superstrada dovevi farti una sgambata di due ore dal meccanico più vicino, visto che i cellulari non esistevano?
Ecco, sì, spesso e volentieri si leggono queste cose. Su Facebook. Ovvero sul social network più incline al cazzeggio di tutto il Web. Ma anche sui blog, spesso specchio della vanità di chi nel “bel mondo di una volta” non aveva alcuna voce.
Ma dunque si stava davvero meglio quando si stava peggio?

Ah, la sana fragranza di urina delle vecchie cabine!

Ma per favore.
Io ho una forte nostalgia per gli anni ’80 e per i primi ’90. Mi son0 divertito moltissimo, ho visto bellissimi film, ho ascoltato musica memorabile, ho letto dei libri spettacolari. Ma erano soprattutto gli anni in cui l’Italia si stava tuffando nell’Occidente vero e proprio. Nella modernità. Anche col consumismo? Ebbene sì. Si è esagerato? Probabilmente. Ma l’alternativa quale era? Restare un paese agricolo, ambire a un’utopia sovietica? Senza dimenticare che i paesi sovietici di certo non disdegnavano la “modernità”, ed è di questo che parla il post, non di politica.
Ci sono affezionato, a quei due decenni, gli ’80 e ’90. Era una vita più semplice, più innocente. Ma questo è forse un fattore più legato alla mia età di allora (l’adolescenza), che non a considerazioni oggettive. Eppure non tornerei mai indietro, non a quello stile di vita. Perché tutte le innovazioni di cui faccio uso, oramai in modo inconsapevole, quasi tutti i giorni, hanno migliorato il mio tenore di vita.
Partendo ovviamente da Internet.

Voglio dire… andiamo! Io e voi siamo qui che discutiamo. Io sto scrivendo questo post dalla mia casetta, dalle parti di Milano. Voi mi state leggendo da Roma, da Cagliari, da Napoli, da mille altre località dello Stivale. Statistiche alla mano c’è chi mi legge anche dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Turchia, dall’Australia, da Singapore. Dalla Nuova Zelanda!
Con una semplice mail posso restare in contatto con amici “reali”, che magari si sono trasferiti lontano, ma anche con amici “virtuali”, molti dei quali hanno uguale peso e importanza della mia vita.
Sì, perché chi dice che i rapporti in “digitale” non contano nelle dinamiche della vita di ciascuno di noi, che non sono reali, dice evidentemente una scemata. O forse frequenta le persone sbagliate.
Ancora: coi social network posso leggere gli aggiornamenti dei miei scrittori preferiti. Posso entrare in contatto con persone che stimo, e condividere qualcosa con loro, fosse anche un “ciao”. Posso vedere le foto che Maria Sharapova posta su Facebook, scattandole direttamente dal suo cellulare. Su Twitter posso far sapere a Brian Keene che ho apprezzato il suo ultimo libro. Una mia recensione può venire ribloggata su una webzine sudafricana. Sì, è capitato anche questo.
Posso scambiare due battute scherzose con Elisabetta Canalis, che spesso è così gentile da rispondere. Posso intervistare il mio autore preferito, o almeno provarci. A volte basta chiedere, no? E ora ci sono i mezzi per farlo. Nessun posto e nessuna persona è più irraggiungibile.
Ho elencato opportunità serie ma anche sciocchezze, giusto? Vi ho visto, che storcevate il naso, leggendo un paio di punti del mio elenco, qua sopra. Eppure anche le piccole inutilità del suddetto breve elenco sono capaci, nel piccolo, di incidere quotidianamente sul mio umore. No, non rimpiango i tempi in cui se avevi un problema o una giornata storta, e nessuno con cui parlarne, ti dovevi chiudere in camera ad ascoltare canzoni tristi. Il mondo che comunica, senza alcun confine se non quelli della stupidità, mi piace. A volte mi fa incazzare, perché la Rete viene usata anche da molti, troppi imbecilli, ma mai vorrei cancellarlo, spegnerlo.
Su e con Internet potrei anche lavorarci e guadagnare uno stipendio onesto, se non abitassi in Italia. E magari un domani capiterà anche qui, in questo paese luddista.

La bellezza dello spaccar le pietre! Questo sì che era un lavoro da uomo.

Facciamo altri esempi.
Il cellulare? Odioso, è vero. Non mi piace parlare al telefono. Però, grazie al mio smartphone da 250 euro (ampiamente ammortizzati), posso controllare la posta ovunque mi trovo. Posso aggiornare il blog, posso scattare foto. Posso rimanere in contatto con le persone a cui tengo, anche se sono dall’altra parte dell’oceano. Ancora: grazie a questo scatolino di 200 grammi ho anche un navigatore satellitare per non perdermi, un comodo traduttore, un blocco note per prendere appunti, una torcia elettrica, una radio, un orologio, un calendario… Tutto in tasca.
Ne potevamo fare a meno, di questa tecnologia? Forse sì, ma io sono contento che esista. Forse disimparerò alcune attività, come per esempio scrivere a mano libera, o a orientarmi con una semplice cartina geografica? Può darsi, ma non è detto. La tecnologia può non diventare un vizio. In ogni caso l’evoluzione è da sempre un dare/avere.

Sugli ebook non aggiungo nulla, perché sarei fin troppo di parte. Dell’odore della carta non me ne frega nulla, lo sapete. Così come non mi interessa dell’odore del vinile, né del fascino della custodia in plastica dei DVD.
Continuo a comprare libri, DVD e CD musicali, ma son ben contento di poter risparmiare soldi e spazio, accedendo anche alle loro controparti digitali. Prima avevo una sola opzione, l’acquisto del bene fisico, ora ne ho due. Sono più ricco!
Se non lo tocchi non lo possiedi“, dicono alcuni. Affermazione sciocca e pregiudiziale. Ma tanto le cose cambieranno, piaccia o meno ai luddisti. E’ l’evoluzione, baby. Per ulteriori riflessioni in merito, date un’occhiata all’articolo del collega Davide Mana.

Ah, il peso concreto di un buon grammofono!

Ci sono poi anche coloro che sperano che la Crisi economica causi un crollo di tutta questa modernità.
Sono felici che essa provochi la chiusura delle aziende che producono cellulari e computer, in modo che tutti si possa tornare a compare soltanto “le cose veramente utili”. Si augurano che la Crisi favorisca il fallimento delle agenzie di viaggio (“Ai miei tempi ci si accontentava di andare a Cesenatico sul 128!“). Spesso sono gli stessi individui che “se lavori al computer non lavori veramente“, e che quindi vorrebbero far tornare tutti a tagliar legna o a fabbricare pentole in rame. Che poi sono lavori dignitosissimi, che continuano a prosperare, per nulla ostacolati dalle nuove professioni digitali.
Io sono convinto che la Crisi possa offrire delle opportunità, oltre a una marea di disgrazie assortite, che ben conosciamo. Reinventarsi, migrare, investire le proprie capacità in un lavoro nuovo, folle e coraggioso. La mancanza di certezze assolute può essere uno stimolo per migliorare la propria vita. Ne abbiamo parlato, tempo fa. Eppure credo che queste opportunità che nascono dalla disgrazia siano affrontabili unicamente nell’ottica del mondo moderno, interconnesso. La tecnologia, sempre più economica e a portata di tutti, è una carta vincente – spesso l’unica – del nostro mazzo. Insieme alle competenze personali, questo è palese.
Competenze che nascono sempre da un mix di nuovo e di vecchio. Da quanto abbiamo appreso studiando sui libri di carta, ma anche da quello che abbiamo imparato dal nostro amico blogger che abita in Kansas, e che conosciamo solo via blog.
Perché, e forse questo è il cuore del discorso, la rivalità tra il vecchio mondo e quello nuovo sta solo nella testa di chi preferisce trovare comode giustificazioni alla crisi del nostro sistema. O sulla propria, singola crisi esistenziale.
Forse sarebbe meglio che gli amici luddisti riflettessero sul gap sociale ed educativo che le vecchie generazioni hanno creato, spaventate da quelle nuove, potenzialmente dotate di tutte le qualità per prendere in mano il mondo e migliorarlo. Allora meglio affossarle, ostacolarle. Il primo passo per farlo è quello di lasciarle allo sbando, senza punti di riferimento, partendo dal sistema educativo. In senso darwiniano si potrebbe parlare di sopravvivenza. Non che così la pillola sia poi tanto più dolce.
Se i ragazzi di oggi sono dei decerebrati senza arte né parte, la colpa forse non è di Facebook e o dell’iPhone. Forse bisognerebbe chiedersi quanto, quando e come sono stati abbandonati dagli educatori, quest’ultimi convinti che il loro mondo (quello degli anni ’70, ’80 e ’90) fosse già perfetto, e quindi intoccabile. Forse bisognerebbe anche esaminare i loro genitori, che del “quando stavamo peggio” hanno conservato i ricordi di comodo, ma nessun insegnamento. Spesso comportandosi come cinquantenni tra il depresso e l’infantile.
Aggrappati a un mondo che aveva gli stessi guai di oggi, ma con sfumature diverse. Negli anni ’80 si rimpiangeva il ’68, e già si imprecava contro la nascente rivoluzione informatica, o contro la TV, quest’ultimo spesso indicata come nemica di comodo.
Nel ’68 c’era chi rimpiangeva l’Italia preindustriale. O quel tizio che negli anni ’30 faceva arrivare i treni in orario.
E via elencando.

Ma no, io non stavo meglio quando stavo peggio.
Conservare le cose buone del passato e adattarsi alla modernità è l’unica via per combinare qualcosa di buono. Difficile farlo, obbligatorio provarci.
Mettetevi il cuore in pace.

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