Alice Herz-Sommer. È nata a Praga, ha compiuto 110 anni lo scorso 26 novembre, ha passato la vita a suonare il pianoforte. Anche quand’era circondata dai fili spinati e dalla follia del lager di Theresienstadt, in pieno regime nazista. Ed è, probabilmente, una delle ultime persone ad aver fatto ospitato a colazione nella sua casa Franz Kafka, amico di famiglia e ospite fisso durante i fine settimana.
Il documentario – i cui lavori sono durati poco meno di tre anni –parte dalla piccola casa al numero 6, in una via che dal centro porta a nord di Londra. È qui che Alice vive praticamente da sempre. E da sola. Un po’ per colpa dell’uomo. Un po’ per colpa del Destino. Suona Bach e Beethoven per molte ore al giorno. Tant’è che, sostiene, «sono ebrea, ma Beethoven è la mia religione». E, di fronte alla telecamera, ripete spesso: «La musica mi ha salvato la vita e continua a farlo anche ora».
Quando ha quarant’anni l’Olocausto presenta ad Alice uno spartito diverso. Fatto di violenze, orrore, morte e dolore. La mamma e il marito (Leopold Sommer) vengono messi su un treno con viaggio di sola andata verso Auschwitz. Non ritorneranno mai più. Lei è insieme al figlio di 6 anni, Raphael: diventano prigionieri del campo di Theresienstadt. «Non sapevo né come sfamare Raphael, né come spiegargli cosa stava succedendo», ricorda lei. Nel frattempo Alice suona. All’interno del lager nazista la donna si esibisce più cento volte. «Il pianoforte mi ha fatto uscire viva da quell’inferno».
E deve essere andata così – un po’ come è successo a Władysław Szpilman, diventato Il pianista Roman Polanski – perché poi Alice e Raffi (il diminutivo di Raphael) riescono a sopravvivere al campo di concentramento. Si trasferiscono in Israele e ci restano fino al 1986, quando decidono di andare a Londra. Il figlio, nel frattempo, è diventato un bravo violoncellista e direttore d’orchestra. Ma nel 2001 muore all’improvviso. Lasciando Alice completamente da sola, nel suo appartamento al numero sei.
«Non è un documentario sull’Olocausto», spiegano i produttori. «Quello che vogliamo esaltare è la vitalità di questa donna, la sua forza morale, il suo senso dell’umorismo, il suo amore incondizionato per la musica». Prodotto con un budget bassissimo, autofinanziato, gli autori dicono che tutti gli incassi andranno alla «Rafael Sommer Music Foundation», la fondazione creata per ricordare il figlio di Alice.
Alice che suona. Alice che ricorda. Alice che non odia. Nemmeno il Nazismo. «E mai lo odierò», dice. «Non ho mai odiato in vita mia, l’odio porta soltanto altro odio». Poi l’ammissione, alla fine del filmato: «Solo quando siamo davvero vecchi ci rendiamo conto della bellezza della vita». Nonostante Hitler. Nonostante i campi di concentramento. Nonostante la morte improvvisa del figlio. Nonostante tutto. (Il Corriere)
Alice ha raccontato in altre interviste “Che cosa mi ha fatto sopravvivere? Il mio carattere. Il mio ottimismo e la mia disciplina. Puntualmente, ogni giorno alle dieci, io siedo al pianoforte. Tutto è in ordine intorno a me. Per 30 anni ho mangiato le stesse cose, pesce o pollo. Una buona minestra, e questo è tutto. Non bevo, né tè, né caffè, né alcol. Solo acqua calda», così qualche anno fa spiegava al «The Guardian» il segreto della sua longevità. Di Alice si parla già nel 1921 quando i giornali praghesi lodavano senza riserve il suo talento.Il 5 luglio 1943 però la famiglia di Alice viene deportata. Destinazione Theresienstadt, il campo di concentramento ceco dove i nazisti rinchiusero gran parte delle élites ebraiche. Grazie a una straordinaria forza d’animo e soprattutto al suo talento, che le permise di diventare una delle più tenaci e apprezzate concertiste del lager, Alice salva la vita a se stessa e a suo figlio. Poi, il un memorabile concerto dato nel 1945 alla radio di Praga, finalmente libera, Alice riusca anche a far sapere alla sua famiglia, in Palestina, che era viva. Poi Alice riusce a fuggire e e a trasferirsi, con il figlio, in Israele. E lì, sempre grazie alla musica, comincia una nuova vita. Non era ancora finita: dopo aver affrontato tutte le guerre arabo-israeliane, nel 1986 la pianista decise di trasferisce a Londra per stare con il figlio, apprezzato violoncellista.