Norcia: terra di chirurghi, macellai, fate e negromanti

Creato il 05 febbraio 2014 da Nonsoloturisti @viaggiatori

Ci sono pochi luoghi al mondo che sono stati capaci di segnare indissolubilmente la storia, e uno di questi, nel cuore dell’Umbria, è Norcia con i suoi dintorni.

Situata là dove si incontrano la Valnerina ed i Monti Sibillini, Norcia prende il nome da Nurthia, una divinità etrusca nota per propiziare fortuna. La città ha dato i suoi natali a San Benedetto fondatore dell’omonimo ordine di monaci, patrono d’Europa, ma soprattutto personaggio grazie al quale la notorietà di questo piccolo centro è stata fissata per sempre nella storia.

Già nel primo secolo dopo Cristo era diffusa, nella provincia romana di nome Nursia, la tradizione di allevare suini e lavorarne le carni. Nel Duecento, sotto il dominio papale, venne riconosciuto ufficialmente il mestiere di “norcino“.
Ancora oggi si usa tale termine per associarlo a coloro che sono in grado di produrre prodotti di qualità marcandone la differenza rispetto alle definizioni di macellaio o di salumiere.

La capacità di trasformare un suino in oltre settanta diverse tipologie di insaccati è una vera e propria esclusiva della tradizione di questa zona e non sarà facile resistere alla tentazione di provarne il più possibile nelle botteghe artigiane che punteggia il centro storico di Norcia. Ma il mestiere di norcino non è per niente facile, infatti occorre avere grande manualità ed una profonda conoscenza dell’anatomia dell’animale.

Con il termine norcini o preciani sono ricordati tra l’altro, nella storia della medicina, anche i chirurghi più abili nelle operazioni di litotomia e in quelle di cataratta, a servizio nelle più importanti corti d’Europa. Questa particolare tradizione non si sviluppò all’interno di aule universitarie, ma grazie ad osservazioni di tipo empirico, consolidatosi in ambito dapprima contadino e familiare e tramandatosi di padre in figlio, tanto che nacquero vere e proprie dinastie familiari di “chirurghi”.

Ma la codificazione di questa antica arte si deve appunto ai Benedettini, ed in particolare all’Abbazia di Sant’Eutizio a Preci. Infatti la regola imponeva ai monaci di coltivare l’arte medica, di curare gli infermi e di tramandare queste pratiche.

Nei fatti, i monaci, cercarono si conservare la sapienza medica accumulata nei secoli istruendo al contempo gli abitanti del territorio circostante. Tra il XVI ed il XVIII secolo la Scuola dei Chirurghi di Preci fu così importante che la presenza di un “preciano” all’interno degli ospedali italiani e delle corti europee più importanti era imprescindibile e ne caratterizzava di fatto il lustro.

Tra coloro che usufruirono delle cure dei chirurghi vi fu anche la regina Elisabetta I Tudor, operata di cataratta, un evento che condizionò per sempre la storia.

L’Abbazia di Westminster nel 1540 era retta dei Benedettini, grazie ai quali il medico Cesare Scacchi operò la regina assistito dalle infermiere provenienti da Norcia. Fu proprio grazie a questa circostanza che da allora il mondo anglosassone assegna, a coloro che si prendono cura dei pazienti, il nome di “nursery“, sigillando per sempre il legame indissolubile tra la gente di questi luoghi e la medicina.

La dissezione del maiale, già nel 1150, era illustrata all’interno del libro “Anatomina Porci”, e si faceva riferimento a tale testo perché era vietato sezionare corpi umani e perché l’anatomia del suino è la più simile a quella umana. Ciò consentì il diffondersi di questa medicina parallela. Ma questa storia non sarebbe stata possibile se il microclima della zona non fosse tale da poter garantire la stagionatura degli insaccati, infatti grazie presenza dei monti Sibillini viene impedito l’afflusso di aria umida proveniente dall’Adriatico.

Tra le alchimie realizzate tra mannaia, mortaio ed ogni tipo di spezie, e quelle realizzate facendo complicate operazioni senza aver studiato medicina, non é difficile capire perché per secoli il termine norcino fu associato ad esperto di magia e perché il Vocabolario della Crusca lo assimila a negromante.

La leggenda narra che Pilato, colpevole di aver fatto crocifiggere Cristo, fu lasciato alla sorte su un carro trainato da buoi. Giunse su queste montagne, in un luogo incantato. Inseguiti dai demoni, i buoi si buttarono con tutto il carico all’interno di un lago che da quel giorno assunse il nome di Lago di Pilato e fu considerato per secoli un posto maledetto, frequentato da maghi e negromanti.

Il luogo incantato esiste davvero ed è situato a 1940 metri di quota all’interno del circo glaciale del Monte Vettore, nel cuore dei Sibillini. Il lago però era chiamato anche Lago della Sibilla, poiché l’omonimo monte antistante custodiva a quota 2175 metri la grotta dove viveva una fata veggente e incantatrice. Dalla Sibilla si recavano genti di ogni dove per avere notizie o risposte, tuttavia erano costretti a superare insidiose prove per poter semplicemente porre le domande alla maga.

Perfida o demoniaca, come qualcuno sosteneva, era contornata da fate, donne bellissime ma con piedi caprini; esse scendevano a valle per insegnare alle fanciulle a filare e tessere le lane. Di notte, però, amavano frequentare le feste ed i balli dei paesi vicini. La Sibilla, prima di lasciarle andare, le ammoniva dicendo loro che dovevano rientrare entro l’alba, pena l’avere eterna disgrazia. La leggenda narra che la danza di queste donne, costretta dai piedi caprini, prese il nome di saltarello, ancora oggi ballo tradizionale della zona.

Una notte, prese dai balli e accorgendosi che da lì a poco sarebbe sorto il sole, corsero precipitosamente verso la grotta, ma sorprese dai primi raggi di sole si trasformarono in pietre, quelle che oggi circondano, appunto, il cosiddetto Cammino delle Fate che sale sul Monte Vettore.

Per capire la magia di questi luoghi, la stessa che ha ammaliato De La Sale, Goethe, Cellini e tanti altri, basta recarsi sull’altopiano di Castelluccio: qui Madre Natura si fa bellezza pura ed eterea, una distesa splendida, un luogo dal quale non si vorrebbe più andare via, che cambia ogni giorno e che in ogni stagione regala uno spettacolo diverso.

C’è la fioritura delle celebri lenticchie, che si ripete sempre diversa da sé stessa ogni anno all’inizio di luglio. Certamente non meno bello è lo spettacolo della piana e del massiccio del Vettore completamente innevati in inverno.

Sarà un incantesimo della Sibilla, che ancora oggi strega tutti, sarà il fascino delle tante storie, o forse la magia della natura, ma chi viene qui una volta non potrà resistere dal tornarci.


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