In un Rapporto cosiddetto “confidenziale” dell’ONU, di cui pare sia in possesso la Bbc, si continua a parlare di cittadini rwandesi reclutati ad hoc per raggiungere il Nord-Kivu e dare sostegno militare agli ex-ribelli congolesi, ammutinatisi da aprile e oggi disposti a combattere nel Movimento del 23 marzo (M23).
L’ M23 è formato, parrebbe, da tutsi del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), fuoriusciti dall’esercito di Kinshasa, dove erano stati integrati nel 2009, dopo la firma degli accordi di pace tra i due Paesi.
Una cosa è certa ed è che la conflittualità tra il Nord e il Sud del Kivu continua con morti, feriti, agguati, saccheggi, stupri.
E Kigali,a detta di parecchi “mormorii”,che si fanno sempre più voci insistenti, deve quasi certamente saperne parecchio.
L’interessata (il Rwanda) , neanche a dirlo, nega qualunque tipo di coinvolgimento.
Anche se poi, effettivamente, le armi utilizzate provengono dal “paese delle mille colline”, quando a Goma, in Rep.dem.del Congo, ci sono stati degli arresti e queste sono state requisite e, dunque, con buone probabilità individuata la provenienza.
L’enorme problema è che, finché sotto banco il Rwanda sostiene questo stato di cose, nel Kivu non ci sarà pace e l’esercito congolese, decisamente male armato, per non dire allo sbando, potrà fare molto poco.
Intanto nei territori di Masisi e di Rutshuru, che confinano con Rwanda e Uganda, ci sono in queste ore più di 80 mila persone in fuga dalle proprie case. E si tratta di civili che temono per la propria vita.
E i combattimenti sembra che, pericolosamente per i congolesi, anche se le voci sono spesso confuse e contraddittorie, continuino comunque.
Nel mentre però c’è, anche e soprattutto, chi continua indisturbato a fare la lucrosa “cresta” su tutto quanto si estrae dalle miniere del Kivu, e di ciò non ha tempo di occuparsene.
Parlo di mafie locali e multinazionali o transnazionali in combutta con i governanti del posto.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)