Ho
incontrato Catherine Morland il quarto anno di liceo: mi era toccato un approfondimento di gruppo sul romanzo inglese e la mia parte di esposizione riguardava in particolare i romanzieri gotici e
Jane Austen. Allora la trama di
Northanger Abbey mi era sembrata rocambolesca, spettacolare, magica, e ho iniziato ad alimentare un mito che mi aveva resa convinta che, quando avessi letto questo romanzo integralmente, ne sarei rimasta incantata. Ma non è stato proprio così.
Il romanzo, scritto da Jane Austen nel 1803 ma pubblicato postumo nel 1818, si presenta come una parodia del romanzo nero e del romanzo sentimentale, due generi narrativi in gran voga fra il XVIII e il XIX secolo, al punto che diversi passaggi contengono citazioni e riferimenti alle opere di Henry Fielding, Samuel Richardson, Ann Radcliffe, Fanny Burney, Maria Edgeworth, nonché veri e propri dibattiti sui romanzi amati dalla protagonista e dalle sue amiche. Catherine, infatti, è una ragazza cresciuta, come molti di noi, divorando libri, con una particolare predilezione per i racconti del mistero e le atmosfere inquietanti di castelli abbandonati e sotterranei in cui albergano gli spiriti di antichi prigionieri. Durante un soggiorno a Bath presso
la famiglia degli Allen, ha modo di partecipare ai balli organizzati per intrattenere i villeggianti, di vagheggiare un sogno amoroso con l'affascinante Henry Tilney e di nutrire le sue fantasie con la confidente Isabella, che non tarda ad organizzare ingombranti scampagnate a quattro con James, fratello di Catherine, e John, l'altezzoso fratello che spera di far sposare all'amica. L'occasione di rivedere Henry e, al contempo, di allontanarsi da John e di soggiornare in un vero edificio del passato immerso nella natura selvaggia, porta Catherine ad accogliere con entusiasmo l'invito dei Tilney a stabilirsi nella loro tenuta presso l'abbazia di Northanger. Qui Catherine inizia a cercare tracce delle presenze e delle storie cui l'hanno abituata i romanzieri, arrivando ad immaginare, allo spegnersi della candela nella notte, che la pergamena emersa dall'armadio sia una lettera misteriosa e, addirittura, che l'inflessibile generale Tilney non sia vedovo, bensì l'aguzzino della moglie, probabilmente rinchiusa in una stanza segreta.
Northanger Abbey, dunque, scherza sulle cattive influenze della letteratura e sul modo in cui essa manipola il pensiero e il buon senso delle persone, facendo credere loro l'impossibile. In realtà, però, questa ironia nei confronti della narrativa gotica e sentimentale non è che uno strumento attraverso il quale emergono le illusioni reali, extraletterarie della vita: così Catherine, da una lettera del fratello, scopre che Isabella non faceva altro che simulare i suoi sentimenti pe James e che la crudeltà del generale Tilney non è affatto legata alla presunta tortura nei confronti della moglie, ma alle questioni dotali e patrimoniali che lo portano a sacrificare la felicità di Henry e a scacciare Catherine da Northanger.
Catherine (Felicity Jones) nella serie della BBC tratta dal romanzo (2007)
Una buona idea e una trama interessante, che dà modo di farsi un'idea della percezione della narrativa al tempo di Jane Austen, peccato che anche in questo caso, come già in
Ragione e sentimento, il tema della sistemazione sociale, del matrimonio, del ballo visto come occasione di caccia al buon partito e, soprattutto, delle questioni finanziarie legate ai matrimoni stessi spadroneggino sul tutto, soffocando l'originalità della vicenda che si svolge a Northanger in un ammasso di scene tipiche che, se accettabili nel precedente romanzo, diventano qui pesantemente stridenti.
Northanger Abbey si legge con piacere e, a suo modo, offre una riflessione sulle distorsioni operate dalla letteratura simile ma molto più lieve e innoqua rispetto a quella che Gustave Flaubert avrebbe sostenuto in
Madame Bovary; tuttavia manca il ritmo narrativo, i colpi di scena sono ridotti ad un solo capitolo e le tensioni risolte in modo abbastanza goffo, sicché l'autrice avrebbe reso forse maggiore giustizia a Catherine Morland se avesse scelto, in luogo di un romanzo impantanato in questioni di apparenza sociale, la forma di un agile racconto.
C.M.