Murakami Haruki in questa che è stata definita la sua opera più realista – tradotta da Giorgio Amitrano – una sorta di romanzo di formazione, si discosta leggermente dai precedenti lavori. Ci presenta una realtà abbastanza tangibile e una narrazione perlopiù piana, per quanto sia strutturata su un lungo flashback. Maestro dell’intreccio, l’autore abbandona per una volta le maglie intricate del destino per parlare del cammino di un giovane comune profondamente insicuro, incosciente delle sue qualità e in balia della falsità che lo circonda, caratteristiche che lo avvicinano alla figura dell’antieroe disegnata da Dickens e da Salinger. Immancabili sono però i personaggi estremamente caratterizzati tanto da apparire quasi surreali, e la simbologia che tanto lo affascina. Fin dalle prime pagine Naoko, raccontando di un pozzo nascosto dentro il quale ogni tanto sparisce qualcuno, si fa portavoce di uno dei segni che compaiono costantemente nei suoi romanzi. Per i giapponesi, infatti, il pozzo è il luogo di incontro tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, e come una sorta di presagio, il cammino di Watanabe è costellato di morti, vere o presunte. La narrazione, in alcuni punti, appare un po’ lenta rimpinzata com’è di piccoli dettagli che ad un occidentale possono passare inosservati o addirittura sembrare noiosi, ma che permettono ai lettori più attenti di gustare quell’intimità e quella spiritualità di cui la cultura giapponese si fa portavoce. Dal canto suo, lo scopo di Murakami è quello di presentare una società giapponese moderna, lontana dall’idea stereotipata di “geisha, kimono e sushi”, per questo motivo non vengono lesinate le scene di sesso, molto realistiche ma non volgari; la prosa è inoltre costellata da continui riferimenti musicali e letterari della cultura occidentale. Tōru legge Chandler, Fitzgerald e Capote, ascolta i Beatles e Miles Davis, vengono citati Salinger e Dickens: due culture così apparentemente lontane ma in realtà più vicine di quanto possa sembrare.
Per Approfondire
- Il romanzo, edito nel 1987, nasce dalla rielaborazione di un racconto precedente di qualche anno, La lucciola (1984); la trama è in maniera semplicistica molto simile ma questa prima versione è del tutto priva dei riferimenti musicali, così frequenti in Norwegian Wood.
- Il titolo, come già detto, è tratto dalla canzone dei Beatles contenuta nell’album Rubber Soul, ma erroneamente il libro in giapponese è conosciuto come Noruwei no mori «La foresta della Norvegia»; si tratta di una traduzione erronea del titolo della canzone che per wood intende il legno e non la foresta, ma tra i fan nipponici della band l’errore era ormai stato fatto e Murakami, seppur vent’anni dopo, decise di sceglierlo comunque.
- Sulla copertina sono presenti ben due titoli, oltre a Norwegian Wood appare Tokyo Blues. Quest’ultimo è il titolo iniziale che venne scelto per l’edizione italiana del 1987 edita da Feltrinelli perché sembrava avere un impatto maggiore nelle vendite facendo intuire i riferimenti musicali del libro.