Norwegian Wood: Ma Non Chiamatela Foresta!

Creato il 17 ottobre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

È sufficiente che Watanabe Tōru, trentasette anni, protagonista di Norwegian Wood, riconosca una melodia di sottofondo per rimanere impietrito sul sedile dell’aereo sul quale si trova. «I once had a girl or should I say she once had me» (testualmente: «Una volta avevo una ragazza o sarebbe meglio dire che lei aveva me»), le prime parole della canzone Norwegian Wood dei Beatles, lo riportano indietro di diciotto anni, al 1969, quando nel vento di ottobre passeggiava accanto alla bellissima quanto eterea Naoko. Quello che potrebbe apparire come il ricordo nostalgico di un amore giovanile, è molto di più. Sullo scenario delle lotte studentesche, è l’anno in cui ha inizio il cammino del protagonista verso l’età adulta. La sua vita è divisa tra il mondo delle ombre verso il quale è attratta la fragile e imperfetta Naoko, ex fidanzata del migliore amico morto, e quello della luce che invece contraddistingue la compagna di corso, Midori, che per quanto abbia un vissuto molto sofferto riesce ad affrontare con ottimismo la vita. Il protagonista combattuto dall’amore per queste due donne antitetiche tra loro, si ritroverà ad avere continui rapporti occasionali con perfette sconosciute che non faranno altro che lasciargli un senso di vuoto da colmare. Lo snodo nella vita di Tōru è da ricollegarsi alla sparizione di Naoko e alla sua improvvisa ricomparsa con una lettera. Naoko si trova ricoverata in una struttura per chi soffre di alterazioni mentali, non si tratta però di un ospedale, ma di un mondo campestre quanto ovattato, lontano dalle brutalità del mondo moderno, all’interno del quale è possibile ritrovare l’equilibrio perduto in completa cooperazione con gli altri pazienti. Le visite di Tōru, i racconti e le confessioni di Naoko e Reiko, la sua coinquilina musicista, rappresentano il cuore del romanzo e velano la narrazione di una malinconia quasi tangibile, ma mai patetica.

Murakami Haruki in questa che è stata definita la sua opera più realista – tradotta da Giorgio Amitrano – una sorta di romanzo di formazione, si discosta leggermente dai precedenti lavori. Ci presenta una realtà abbastanza tangibile e una narrazione perlopiù piana, per quanto sia strutturata su un lungo flashback. Maestro dell’intreccio, l’autore abbandona per una volta le maglie intricate del destino per parlare del cammino di un giovane comune profondamente insicuro, incosciente delle sue qualità e in balia della falsità che lo circonda, caratteristiche che lo avvicinano alla figura dell’antieroe disegnata da Dickens e da Salinger. Immancabili sono però i personaggi estremamente caratterizzati tanto da apparire quasi surreali, e la simbologia che tanto lo affascina. Fin dalle prime pagine Naoko, raccontando di un pozzo nascosto dentro il quale ogni tanto sparisce qualcuno, si fa portavoce di uno dei segni che compaiono costantemente nei suoi romanzi. Per i giapponesi, infatti, il pozzo è il luogo di incontro tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, e come una sorta di presagio, il cammino di Watanabe è costellato di morti, vere o presunte. La narrazione, in alcuni punti, appare un po’ lenta rimpinzata com’è di piccoli dettagli che ad un occidentale possono passare inosservati o addirittura sembrare noiosi, ma che permettono ai lettori più attenti di gustare quell’intimità e quella spiritualità di cui la cultura giapponese si fa portavoce. Dal canto suo, lo scopo di Murakami è quello di presentare una società giapponese moderna, lontana dall’idea stereotipata di “geisha, kimono e sushi”, per questo motivo non vengono lesinate le scene di sesso, molto realistiche ma non volgari; la prosa è inoltre costellata da continui riferimenti musicali e letterari della cultura occidentale. Tōru legge Chandler, Fitzgerald e Capote, ascolta i Beatles e Miles Davis, vengono citati Salinger e Dickens: due culture così apparentemente lontane ma in realtà più vicine di quanto possa sembrare.

Per Approfondire

- Il romanzo, edito nel 1987, nasce dalla rielaborazione di un racconto precedente di qualche anno, La lucciola (1984); la trama è in maniera semplicistica molto simile ma questa prima versione è del tutto priva dei riferimenti musicali, così frequenti in Norwegian Wood.

- Il titolo, come già detto, è tratto dalla canzone dei Beatles contenuta nell’album Rubber Soul, ma erroneamente il libro in giapponese è conosciuto come Noruwei no mori «La foresta della Norvegia»; si tratta di una traduzione erronea del titolo della canzone che per wood intende il legno e non la foresta, ma tra i fan nipponici della band l’errore era ormai stato fatto e Murakami, seppur vent’anni dopo, decise di sceglierlo comunque.

- Sulla copertina sono presenti ben due titoli, oltre a Norwegian Wood appare Tokyo Blues. Quest’ultimo è il titolo iniziale che venne scelto per l’edizione italiana del 1987 edita da Feltrinelli perché sembrava avere un impatto maggiore nelle vendite facendo intuire i riferimenti musicali del libro.


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