Non sono tra quelli che hanno avuto bisogno della doppietta contro la Germania per scoprire il talento di Balotelli. Certo, per un attaccante il gol è fondamentale, ma SuperMario è stato tra i migliori in campo anche quando ha fallito occasioni clamorose. Bravo a tenere palla e a fare salire la squadra, a proporsi su tutto il fronte offensivo, a procurare calci di punizione, a ripiegare in difesa. Ovvio, questo è il momento delle lodi sperticate. Anche di chi, fino a qualche giorno fa, ne auspicava la giubilazione. Gli italiani sono bravissimi nel passare con disinvoltura dall’incensamento alla crocifissione. Chi vince ha sempre ragione e chi perde ha sempre torto. Infatti, sul carro del vincitore si sta strettissimi. Gli ululati razzisti e il vergognoso coro “se saltelli, muore Balotelli” sono un ricordo lontano: il mio negro è meno negro degli altri. Soprattutto se fa vincere la mia squadra.
Inutile dire che sono un estimatore della prima ora del più grande talento italiano in circolazione. E ho tutto il diritto a mangiarmi le mani, come la maggior parte dei tifosi interisti. D’altronde, il tafazzismo nerazzurro è un caso studiato sui manuali universitari, paragonabile soltanto all’autolesionismo della sinistra italiana. Non credo sia casualità il fatto che i migliori azzurri all’Europeo siano Balotelli e Pirlo, due fenomeni che abbiamo allevato e fatto scappare a vent’anni.
Balotelli è una testa calda; spacca lo spogliatoio; ha (pare) un caratteraccio; a volte, assume pose da bullo; quando non ha voglia, è irritante: ma davvero sono queste le ragioni per le quali è stato ceduto? O è stata soltanto questione di cassa? Perché, se i soldi non c’entrano, si tratta di suicidio perfetto.