Del resto non si contano inchieste, studi, libri sui collegamenti tra la mafia devota e Chiesa omertosa – l’ultimo in ordine di tempo è quello del magistrato Gratteri, “Acqua santissima, la Chiesa e la ‘ndrangheta: storia di potere, silenzi e assoluzioni.”- per cui l’inchino della Madonna al boss è nell’ordine delle cose, tutt’altro che un miracolo in negativo. Ed è un impressionante documento di imbarazzo e di ambiguità ciò che dice il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino: che non è la Madonna ad essersi inchinata al boss, ma la statua della Madonna, superando con un balzo felino monsieur de la Palisse. Fa il paio con ciò che dice il sindaco di Oppido Mamertina, paese dove si è verificato l’episodio, che “prende le distanze” dal gesto, ma aggiunge che l’inchino si svolge da trent’anni. E infatti la popolazione, a testomonianza dell’insegnamento della Chiesa, si stringe attorno al suo boss e caccia quelli che vogliono mettere il naso in quella cosa loro.
Insomma mentre il mondo cattolico è fortemente presente nelle associazioni che si battono contro la mafia, il regno Vaticano continua a chiudere occhi e orecchie verso le vaste collusioni tra un mondo religioso di sapore arcaico e le mafie. Esiste una lunga tradizione in questo senso che risale agli scontri risorgimentali tra Stato e Chiesa che vedeva le gerarchie “vicine” a tutto ciò che contestava per i più svariati motiva l’unità italiana comprese le onorate società in formazione. Poi, dopo il fascismo la strana convergenza di interessi si è riproposta in funzione anticomunista (celebre il meglio mafiosi che comunisti del cardinale di Palermo Ruffini) tanto che solo oggi all’alba avanzata del terzo millennio, arriva una punizione ufficiale, anche se priva ormai di reale significato. Tanto che persino l’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone (postulatore della causa di beatificazione di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia) ha molti dubbi sull’efficacia di questa novità: “sono tante le cose che la Chiesa può e deve fare, prima e al di là di una pena canonica. Inoltre poi, mi chiedo: oggi c’è una sensibilità ed una formazione religiosa tale che faccia comprendere la gravità di un tale provvedimento?”. Di certo no visto che la chiesa stessa l’ha reso spuntato in funzione delle sue politiche.
E’ un segnale certo, ma tutto dentro la nuova comunicazione del papa argentino e che arriva quando la mafia è altrove: certo la criminalità organizzata tiene il territorio dove si è incistata e forma i suoi soldati, ma essa opera dove ci sono i soldi, gli affari, i grandi appalti, le ruberie che non sono affatto scomunicate. Il Papa com’è nello zeitgeist dice e adombra ciò che la gente vuole sentire, è un pontefice del facile consenso, ma quanto al fare non c’è alcuna traccia di cambiamento. La retorica pauperistica non ha cambiato di una virgola l’utilizzo in gran parte auto referente dell’ 8 per mille e delle altre prebende dirette e indirette che derivano dalle sante esenzioni, le esternazioni sui gay non hanno alla fine cambiato nulla in fatto di esclusione e di dottrina, lo stesso vale per la questione femminile, mentre viene spacciato per rinnovamento un cambio di camarille nelle latebre del Vaticano e dello Ior. Anche questa scomunica latae sentenziae che peraltro si dovrebbe applicare automaticamente a chi si macchia di gravi delitti, è soprattutto un atto comunicativo più che scomunicativo, che peraltro ha già ottenuto una ironica risposta dai detenuti mafiosi che si rifiutano di andare alla messa e una reazione da parte dei devoti locali degna dei cattivi selvaggi. E che non ha alcun effetto pratico: chi rifiuterà la comunione a un qualche boss, ammesso che ne abbia l’intenzione? La cancrena è profonda, antica e non basta coprirla con le garze per guarirla.