Not a last goodbye

Creato il 11 febbraio 2015 da Temperamente

Sono a pagina 110 del libro, il Kindle segna 46% del totale, lancio una scorsa alle prossime 130 pagine e  penso «No, non ce la posso fare».
Prendo in quel momento la decisione che stava maturando in me da tempo ormai: basta con questo libro. Passo ad altro.

Era da circa (mi vergogno a dirlo, ma questa è la verità) un mese che trascinavo la lettura di questo libro. Mi dicevo «Deve ancora arrivare al culmine» e proseguivo; pensavo «forse nel prossimo capitolo ci sarà una svolta»; ponderavo «siuramente ci sarà un perché di tutti questi personaggi e situazioni inutili». Insomma, me la raccontavo alla grande.

Solitamente, non tentenno mai davanti a un libro che non mi prende, sono anzi abbastanza drastica e spietata: mi faccio scudo delle sacrosante regole del lettore dettate da Pennac e vado avanti per la mia strada con un altro libro sotto braccio. Il mondo (letterario) è troppo pieno di libri belli e la vita troppo breve e il tempo scorre troppo veloce per poterlo perdere con un libro che non ti convince. Come tutti i lettori forti, ho perennemente una scorta pressoché infinita di libri da leggere. Il mio comodino è fatto di libri, sulle mensole e in libreria ormai cascano e si afflosciano insieme alle riviste, agli appunti e alle cartoline, e ormai ho cominciato a costruire pile anche per terra (sommo orrore, lo so!).  Insomma, possiamo dire che di cose da leggere ne ho, e pure tante!

Del resto, il mercato del libro in Italia non ha pietà di noi lettori: ogni giorno escono circa 170 nuovi titoli (che x 365 significa quello che significa in termini di quantità) e anche se più della metà non venderà neanche una copia e più di un terzo invece finirà dritto dritto al macero, l’offerta per un lettore è vastissima, sovrastante direi. Senza contare gli innumervoli ebook, copie digitali, fanzine, riviste e romanzi brevi e non che circolano, fortunatamente, su Internet: incontabili, direi, con buona pace degli alberi e premura per la carta.

Tutti questi terrificanti dati sul mondo dell’editoria non li ho inseriti per amore dei numeri e delle statistiche, (anche perché ormai si è capito che più che portar forza ad un discorso, la tolgono), e neanche come scusante ulteriore al mio abbandono di un libro: semplicemente, questa è la verità, ragazzi. Non so se esiste uno studio circa il numero di ore che mediamente nella vita passiamo a leggere – sono abbastanza certa di sì, ma lascio a voi il compito di fare questa interessantissima ricerca – ma mi piacerebbe pensare che se un giorno tirassi le somme tra le ore passate cose belle e quelle a torturarmi con cose brutte o tranquillamente evitabili, beh, spero di avere una cifra ben più alta tra quelle piacevoli. Leggere significa per me non soltanto viaggiare nel tempo e nello spazio, conoscere persone e posti nuovi e irraggiungibili: leggere significa vivere (citazione). Perciò, bisogna vivere esperienze eccezionali, che aprono la tua testa e fanno viaggiare la propria mente, oltre i limiti del corpo, accrescendo le tue capacità e potenzialità.

D’altronde, non avrei neanche bisogno di avvalermi dell’insegnamento Pennachiano per accantonare un libro, perché ciò che penso sempre quando pianto un libro  è

«Ehi, questo non è un addio, ma solo un arrivederci».

I libri sono degli oggetti strani, se volete, perché nella loro staticità e struttura, siano essi cartacei che digitali, i libri cambiano, prendono vita e, come tutte le cose vive, si muovono e si trasformano. Perciò un libro abbandonato oggi potrà essere una gran scoperta domani, un romanzo mollato a metà o al suo principio potrà trasformarsi in una piacevolissima lettura tra qualche tempo. Certo, vale anche il contrario, ossia un libro amato ieri potrà essere anche una cocente delusione dopo, ma queste, si sa, sono cose che capitano.

Perciò, dopo tanto tribolare, ho fatto ciò che dovevo fare: salutare quel libro con la mano, sussurrandogli «Chissà, forse un giorno ci rivedremo».
E via, pronta per altre avventure letterarie.


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