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Nota della Fondazione Taras: ''I Trust nel destino del calcio''

Creato il 23 giugno 2015 da Stefano Pagnozzi @StefPag82
Nota della Fondazione Taras: ''I Trust nel destino del calcio''
Ecco il testo integrale della nota della Fondazione Taras pubblicata sulla “Gazzetta del mezzogiorno” di oggi. La nota replica a un articolo del 19 giugno 2015 a firma di Lorenzo D’Alò, che invitava il trust tarantino a fare un bilancio critico dell’esperienza nel Taranto e della propria missione culturale.
Troppo ghiotta per lasciarla cadere è l’occasione offerta da Lorenzo D’Alò, che sulla Gazzetta del 19 giugno, riassumendo le turbolenze del calcio tarantino, ha invitato la Fondazione Taras ad ammettere il proprio «piccolo fallimento». D’Alò si chiede, in particolare, se sia solo un caso che «da quando esiste la Fondazione, la vita societaria, anziché incontrare una fase di auspicabile stabilità, è stata sovente preda di incontrollabili fibrillazioni».
Davanti a una simile suggestione, tacere sarebbe un errore; resterebbe un pesante non detto. Troppo importante è prendere parola, per almeno due ragioni: in primo luogo per la nettezza e la qualità dell’appello, che giunge da uno tra i più autorevoli commentatori del pallone tarantino; poi per il tempismo dell’invocazione, giacché, in questi giorni, quasi tutti si sono misurati con l’esercizio delle opinioni, per la verità con gradi di accuratezza variabili.
La Fondazione deve esporsi, dunque. Vuole esporsi. Perché si trova in contrasto, aperto ma leale, con la visione espressa da Lorenzo D’Alò; e perché crede che sia necessario dire un’altra versione dei fatti, che tolga l’ombra laddove, evidentemente, un’ombra si è allungata.
Nell’estate del 2012, quando il calcio sembrava destinato a scomparire da Taranto, la Fondazione Taras si distinse per un lavoro sfiancante di costruzione e mediazione. L’impegno del supporters’ trust si era annunciato già ad aprile di quell’anno, durante l’ultima fase della gestione di Enzo D’Addario, quando soltanto grazie ai contributi economici della Fondazione Taras il settore giovanile rossoblù poté concludere la stagione sportiva, tenendo fede agli impegni agonistici.
Quella dell’estate del 2012 fu una corsa contro il tempo, che l’amore visionario di un gruppo di tifosi riuscì poi a trasformare nel Taranto FC 1927. Ci interessa, però, far scorrere il nastro in avanti, essendo chiaro che i riferimenti contenuti nell’articolo di Lorenzo D’Alò siano all’estate del 2014, e a questi giorni infuocati di giugno.
Al termine della stagione sportiva 2013/2014, con la Fondazione detentrice del 18,5% delle quote societarie e a un anno appena di distanza dall’insediamento della nuova proprietà, la situazione societaria era già grave, con una crisi di bilancio esagerata per qualsiasi club di serie D. La complessa geografia delle quote, frammentate in capo a una moltitudine di imprenditori, animò un’autentica battaglia di trincea, in cui neppure lo spauracchio di un nuovo, imminente fallimento calcistico sembrava spaventare una parte della dirigenza, che si perdeva in estenuanti giochi di posizione, senza riuscire mai a risolvere i problemi strutturali del club. Quando il presidente dell’epoca, Fabrizio Nardoni, cominciò a intavolare le trattative per la cessione della società, la Fondazione Taras si adoperò in un intenso lavorio di cucitura del dialogo tra soci e possibili acquirenti; un dialogo poi reso impossibile dopo le incaute esternazioni dell’allora presidente, che senza fondatezza attentava alla dignità del supporters’ trust tarantino, mettendo a rischio l’esito stesso del passaggio di consegne della società. Fu il momento più difficile per la storia della Fondazione.
Quell’annata fu caratterizzata da un episodio cruciale: la denuncia pubblica della Fondazione Taras, che, col comunicato del 13 dicembre 2013, invitò la dirigenza rossoblù a ridefinire le proprie strategie di spesa, essendo chiaro già allora che quel tipo di gestione economica, rivelatasi insostenibile, non avrebbe garantito la sopravvivenza del club rossoblù. L’uscita pubblica della Fondazione fece levare un coro di sdegno quasi unanime, in cui il supporters’ trust veniva invitato a «levarsi di mezzo», a «lasciar lavorare il presidente», infine a «smettere di gufare». Il pallone rotolava e ciò bastava a una parte dell’opinione pubblica, che non seppe interpretare l’allarme lanciato della Fondazione. Alla fine dell’annata, i fatti ristabilirono la verità, senza che, tuttavia, i detrattori avvertissero l’onestà intellettuale di riconoscere al trust tarantino il merito di una denuncia pubblica sofferta ma fondata.
Venne il momento del passaggio delle quote a Domenico Campitiello, il cui arrivo in società, anche grazie alla Fondazione Taras, ebbe l’effetto indiretto di evitare a una certa parte dell’imprenditoria tarantina una delle peggiori performance che si sarebbero mai ricordate nella storia del calcio locale. Al momento del suo avvicinamento al Taranto, il presidente Campitiello espresse il desiderio di entrare in possesso del 98% delle quote, profilando un brusco ridimensionamento della presenza dei tifosi nel club. Dopo una profonda riflessione, e sull’onda di notevoli pressioni della piazza a non ostacolare l’ingresso del nuovo proprietario, la Fondazione accettò la proposta, che solo in seguito fu ridisegnata con l’assegnazione al supporters’ trust del 10%, poi ridotto al 5% per effetto della successiva ricapitalizzazione.
Il rapporto col nuovo presidente, tutto da costruire, non è stato sempre facile; sempre, però, è stato schietto e leale, non essendo mai mancati confronti duri e anche aspri, come quello che si è consumato intorno al settore giovanile; qui, pur con amarezza, la Fondazione Taras ha ritenuto di rimodulare il proprio impegno per via di incomprensioni col presidente rossoblù, che comunque non hanno minato la serenità di fondo della convivenza.
La più recente crisi estiva, quella di questi giorni, segue all’annuncio imprevisto del disimpegno di Domenico Campitiello, che pur si era espresso pubblicamente in senso opposto sino a pochi giorni prima, generando un cortocircuito di entusiasmo e delusione. La decisione di Campitiello, frutto di una riflessione interna e mai comunicata alla Fondazione Taras, non sembrava in alcun modo prevedibile. Né potevano essere colti segnali lungo un percorso che, al contrario, è sempre parso improntato a una spiccata ricerca dell’equilibrio economico e, nell’ultimo periodo, alla pianificazione della prossima stagione. Non v’erano ragioni, insomma, per immaginare questi esiti.Il punto in cui l’analisi di Lorenzo D’Alò sembra perdere nitidezza, a nostro avviso, è questo: dove sono le evidenze di una correlazione tra le recenti crisi societarie del Taranto e la presenza dei tifosi nel club? D’Alò suggerisce, specie quando sottolinea una «irrinunciabile vocazione ad orientare le scelte» da parte del supporters’ trust, che vorrebbe perfino «selezionare la classe dirigente», che ci sia troppa Fondazione nel Taranto di questi anni. Noi diciamo l’esatto opposto: ce n’è troppo poca.
Il trust tarantino non ha potuto realizzare il proprio programma all’interno della società, se non in parte e per un certo periodo, limitatamente al settore giovanile. Gli effetti positivi della presenza dei tifosi nella gestione ordinaria di un club, a queste latitudini, non si sono dispiegate pienamente; ciò per effetto di un gap culturale e, insieme, per il ritardo (usiamo un eufemismo…) che paralizza le istituzioni sportive nazionali, che con la rete di Supporters in Campo ci prefiggiamo di cambiare.
Perché il nostro è un percorso che si sviluppa su più fronti. Ai trust di tifosi, fino ad ora, è spettato quasi solo un ruolo sussidiario nella gestione dei club: essi sono invocati solo al momento di risolvere le crisi, di raccogliere risorse, organizzare il consenso dei supporters e gestire piccoli affari correnti. Un trust non è solo questo. Può essere molto di più. Lo dimostra l’esperienza europea, ma non solo.
I segnali che giungono da Ancona in questi giorni, dove i tifosi si candidano a un più accentuato protagonismo, suggeriscono che è doveroso andare avanti e disegnare una frontiera ancor più suggestiva: la comunità dei supporters, mediante i trust, può arrivare a gestire il club in via diretta, lasciando ai finanziatori un ruolo di vigilanza. Così, sottraendo il destino del calcio agli umori di un uomo solo al comando o alle guerre di sfinimento di compagini societarie troppo composite, si compirebbe la rivoluzione culturale dei trust. Non sono ancora maturi i tempi? Forse. E non vale la pena forzarli. È doveroso, però, indicare una meta, costruendo un cammino giorno per giorno.
È opportuno, tornando ai fatti nostri, precisare che la Fondazione Taras non ha mai inteso orientare le scelte, né ha posto veti sulle decisioni che rientravano nella competenza dei proprietari del club.
 L’esercizio della facoltà di selezionare la classe dirigente – se bene intendiamo il riferimento di Lorenzo D’Alò a ciò che accadde la scorsa estate, quando altri imprenditori s’interessarono all’acquisto del club – non dovrebbe destare stupore: tra i progetti candidati a rilevare le quote in vendita del Taranto FC 1927, la Fondazione Taras espresse una preferenza per quello con le più solide e documentate garanzie economiche, che faceva capo a Domenico Campitiello, a cui si aggiungevano adeguate e tutt’altro che secondarie garanzie etiche.
Troviamo un altro punto critico nell’analisi di Lorenzo D’Alò quando egli prova a istituire un parallelismo tra le posizioni espresse dalla Fondazione Taras e quelle dei gruppi organizzati della Curva Nord. Il giornalista scrive che «il tifo organizzato s’è smarcato in anticipo dalle ondivaghe promesse dell’imprenditore di Pagani», dimostrando «lungimirante coerenza». Per la verità, non ci pare di rintracciare un segno di lungimiranza nelle proteste di una parte della Curva, che ha inteso dissociarsi da Domenico Campitiello e, in parte, anche dalla Fondazione Taras, solo a seguito dell’episodio della maglia blu indossata dal Taranto a Manfredonia e dopo la disputa sulla scarsità di biglietti messi a disposizione dei tifosi rossoblù per la trasferta di Sestri Levante. In quelle proteste rinveniamo solo l’espressione di una posizione che, per quanto legittima, resta circoscritta a singole questioni e si fonda, a nostra opinione, su una lettura imprecisa di fatti specifici. La diversità di vedute su temi specifici non rompe, comunque, un fronte comune di amore, di orgoglio e di lotta che ci accomuna e che ogni giorno conduciamo per tutelare il calcio tarantino col suo immenso patrimonio di emozioni e valori.
Lo abbiamo già scritto con chiarezza alcuni giorni fa: non c’è monopolio nell’amore verso il club e non sogniamo un Taranto più piccolo soltanto per avere l’illusione di controllarlo meglio. Sogniamo un Taranto grande, a prescindere dalle categorie, e una città che un giorno sia capace di riprendersi il suo calcio con coraggio e compattezza. Sogniamo le stesse cose: dobbiamo stare uniti.
Saremmo lieti di proseguire il dibattito con Lorenzo D’Alò, oltre che sulle pagine della Gazzetta, anche nel corso dell’Assemblea Nazionale di Supporters in Campo che si terrà a Taranto il 27 e 28 giugno, nella quale, insieme con tutti i tifosi che vorranno esserci, discuteremo dello stato di avanzamento dei supporters’ trust e del calcio che vogliamo costruire.
da: fondazionetaras.it

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