Da “I monologhi di Pierrot” (1898) di Gian Pietro Lucini
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Oh, io amo l'Idee veggenti e silenti nel Mondo,
ed eloquenti dentro all'intendimento personale;
amo le Idee a sciame, incatenate pecchie d'oro,
al sonoro timpano del comporre.
Le amo volanti, fantastiche, pure,
sicure,
senza paure
d'una critica e d'una ribellione,
l'Idee della passione, che mutano la terra in paradiso,
incantevole annuncio d'un sorriso che non vedrem già mai
sopra le femminili labbra baciate
e che sentiamo in noi,
pallidi Eroi d'una funambolesca ebrietà di rime. —
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Spalanca una finestra. Notte luminosa. Un ramoscello di rosa si
sporge nel vano tutto bagnato di luce lunare e scintilla sulla nera
cortina. E il raggio della luna fa impallidire la lampada. Non fa più
freddo. Qualche cosa di vivo riscalda questo sepolcro di Maschere.
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L'usignolo; s'egli canta io taccio; la dolce musica
imbalsamata d'idealità si ripercuote al di là
delle coscienze. Così uno spunto è tutta l'armonia
e la malinconia è l'ispirazione; tutta una canzone,
ed il resto è l'orchestra. E tacerai, o vago della luna
e del silenzio, tacerai nell'inverno.
O patria, o terra aspettata! Come tarda l'amata all'amatore!
In torno al mio palazzo ho coltivato un pazzo
laberinto di fiori;
corolle violacee
come un lutto di vergine strana:
ma de' pistilli linguaggian d'oro e vermigli, insidiosi.
Io vedrò della neve sopra questo corrotto troppo ricco,
funerale d'un principe: il mio. E soffierà il vento maligno
come la parola capziosa dell'amico
ed io mi troverò meglio sdrajato... No, no, vivere!
Quando? in che modo? domani? nel buio? Vivere?
Questi ultimi pensieri vengono espressi a viva voce come in un
grido. Il Pierrot si stupisce e quasi teme di queste voci, che
insolitamente risuonano nella sala. Poi ride: il riso stride ed il Pierrot
parla.
Io parlo adunque! De Banville m'ha ingannato;
io parlo ancora: la Pantomima è morta al mondo,
e io ritorno a soffrire! Aria al polmone
assetato di brezza notturna.
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E la mia luna artificiale smunta
tremante al raggio della vera. E pure i fiori
e le gemme mentite gareggiano coi veri e sono preferite;
e un bacio simulato ha più sapore del bacio santo
che vien dal cuore. Io ch'amo il posticcio,
e l'inganno ed il dubbio?... O seguendo le fasi lunari
dirò pei dignitarii delle imprese lunatiche
le regole pragmatiche della mia esistenza di Pierrot?
Gobba a levante e gobba a ponente?
Zitti; la ben nata gente sta tutta in me e l'altra:
e la servetta scaltra,
e la minosa padroncina,
e il ladron di cucina,
e il ghiottone sudicio, e l'impudico,
e lo spleematico sere, e il messere poltrone,
ed il Re Sole, e un parruccone che vide l'avvenire,
ed una macchina insanguinata
e una bacata funzion sociale, e il funerale
della nobiltà; tutto tra il sorgere ed il morire
della luna, tra il crescere e il calare
del cerchio pallido sul ritmico sospiro del simpatico mare:
e le Fasi e la Vita,
e una sbiadita felicità che in terra non si trova
e s'arrovella per farsi ritrovare,
e la scarsella vuota, e una baldracca letteratura
che va dalla baracca istrionesca a ciance e a tresca
sul trono, o in Campidoglio, ai lauri di una gloria immeritata.
La luna dilaga nella sala: i marmi rispecchiano come forbiti acciai.
Le rose incensano dalla finestra. Ogni cosa palpita col cuore di Pierrot
che si rinsangua. Egli grida e geme, pauroso della vita gagliarda che
s'inturgida nel suo corpo. Un singhiozzo: una risata. Pierrot sente di
morire e di rinascere.
***
Arnold Schönberg - Pierrot Lunaire