Una lunga sfilza di ricevute di pranzi e cene e anche di viaggi in Italia e all'estero che secondo Minzolini erano tutti motivati dalla necessità di relazioni pubbliche e giornalistiche legate al suo incarico al Tg1, e che invece l'azienda aveva contestato dopo 18 mesi perché prive della preventiva autorizzazione e dell'elenco degli ospiti con cui quei pranzi e cene erano stati effettuati. I conti erano stati pagati tutti con una carta di credito aziendale, regolarmente fornita dal direttore generale dell'epoca, Mauro Masi, con il solo limite di un tetto di spesa mensile. Il caso note spese di Minzolini fu sollevato da un consigliere di amministrazione dell'epoca e portò perfino a una denuncia penale presentata dall'allora deputato Antonio Di Pietro.
Alle prime polemiche l'allora direttore del Tg1, pur sostenendo la legittimità di tutte le spese, decise di restituire alla Rai in una unica soluzione l'importo delle note spese sub judice. Nelle more del processo Minzolini fu anche deposto dalla direzione del Tg1, utilizzando una legge che vale per la pubblica amministrazione (di cui la Rai non è parte) e che prevede pure la ricollocazione del dirigente rimosso nella stessa posizione originaria in caso di assoluzione. Minzolini ha vinto la causa legale, visto che è stata respinta la denuncia di Di Pietro, ma non ha riavuto il posto come prevedeva la legge. Nel mezzo del braccio di ferro con la Rai gli è arrivata la proposta di candidatura con l'allora Pd1 in Senato, ed oggi è in aspettativa senza assegni. Almeno fino a ieri, quando un assegnone è arrivato: quelle note spesa gli sono state alla fine pagate dopo la vittoria processuale. «È una bella somma», ammette Minzolini, «e naturalmente fa piacere per chi come me vive del suo stipendio. Ma quell'assegno ha un valore simbolico ancora più rilevante: è la testimonianza che ogni tanto anche in Italia la giustizia funziona e si può vedere riconosciute le proprie ragioni».