È notte.
Un movimento tenue sposta il velluto rosso. Spinto da un soffio nostalgico, il tessuto si tende, aprendosi su tavoli nudi. Dalla volta dipinta una luce azzurrina abbozza curve lignee, corde d’acciaio. Partono e subito frenano suoni appena accennati. Tutto tace in attesa.
Sulle tavole lucide di passi, si indovina una sagoma, la tesa di un cappello, un punto di brace accesa. Poi la voce baritonale intreccia le note di un tango. Parla di una porta che resta aperta per racchiudere l’illusione del ritorno, racconta di una lampada che si rifiuta di illuminare l’assenza. L’uomo fuma mentre canta, il chitarrista piega la testa mentre culla la tristezza delle note.
I libri frusciano un lungo applauso di carta.
È notte, sta per tornare il silenzio nel Teatro Grand Splendid.
Buenos Aires sogna ancora.