Col biglietto della mosra Novecento, si può accedere alla collezione permanente dei Musei san Domenico , non dovete perdere questo percorso perchè ci sono alcuni veri capolavori. Le cariatidi provengono dalla Cattedrale di Forlì, uno dei simboli della storia religiosa e civile della città di cui si hanno notizie fin dal X secolo. Un grande affresco nell’abside del presbiterio, opera del 1863 di Pompeo Randi, illustra l’ “invenzione e il riconoscimento della Santa Croce” a cui la chiesa è dedicata. Ricostruita in seguito ad un incendio nella seconda metà del secolo XII la Cattedrale venne completamente ristrutturata nel secolo XV e consacrata nel 1475. Pochi decenni prima era avvenuto a Forlì il miracolo che ancora oggi rende particolarmente cara ai forlivesi questa chiesa. Il 4 febbraio 1428 una scuola nei pressi della Cattedrale fu completamente distrutta da un incendio che lasciò in piedi solo un brandello di muro con l’immagine su carta della Madonna, poi chiamata del Fuoco, che in quella scuola era venerata. La Madonna del Fuoco è la protettrice di Forlì.
Le cariatidi, si trovano nella prima sala del museo, sono del XII secolo e provengono da Santa Croce.
Mi affascinano le cariatidi e i mostri che ancora oggi troviamo nelle chiese antiche, mi immagino lo spavento e il timore che generavano nelle persone che andavano a pregare e ad ascoltare la Messa. Le scimmie in particolare sono la personificazione della lussuria e del peccato.
L'affresco stava in mezzo agli stemmi dei Riario e degli Sforza sulla facciata del fondaco del Provveditore di Spezierie di Girolamo Riario in Forlì.
Il pepe costituiva il tipo di "spezie" più largamente usato e raccomandato per il suo alto potere calorifero: il commercio del pepe rappresentava un importante cespite economico. È naturale quindi che l'operazione del pestare il pepe potesse diventare l'insegna di una spezieria.
Il fatto eccezionale sta nella elevatezza della qualità artistica che questa insegna riveste.
L'opera era in passato attribuita a Melozzo da Forlì; ma l'impeto che presenta è assolutamente estraneo alla statica visione di lui. L'energia della figura è tutta ferrarese. Più precisamente il Longhi ne ha indicato la stretta affinità con la parte degli affreschi di Schifanoia, dati al Cossa, tanto da attribuirla allo stesso artista, che è tra i più grandi del Quattrocento. Io addirittura pur riconoscendo la matrice sicuramente ferrarese vi trovo l'energia che solo Cosme Tura sapeva dare.
Nonostante lo studio dell'abbigliamento e dell'acconciatura abbia dimostrato che si tratti della tipica moda fiorentina della fine del Quattrocento, molti studiosi, a partire dall'Ottocento, hanno identificato la Dama con Caterina Sforza, figlia del Duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, e Signora di Forlì. Questa tesi sembrerebbe supportata dalla presenza nel quadro sia della fortezza sia dei gelsomini. Caterina nutriva, infatti, una forte passione per la botanica e per i rimedi naturali.
"Fu tanto finito e pulito ne' suoi lavori, che ogni altra pittura a comparazione delle sue parrà sempre abbozzata e mal netta": così Giorgio Vasari descriveva l'arte di Lorenzo di Credi, uno dei protagonisti del Rinascimento fiorentino il cui nome però, nel corso dei secoli, è stato un po' oscurato da quello di più famosi contemporanei come Sandro Botticelli, Leonardo da Vinci e Pietro Perugino. Tutti artisti che tra l'altro studiarono con lui nella bottega del Verrocchio.
Antonio Rossellino a Forlì, nel 1458, realizzò l'Arca del Beato Marcolino, un frate domenicano morto in fama di santità; non è sicuro che si sia servito di disegni del fratello Bernardo, ma certamente si avvalse della collaborazione di un altro fratello, Giovanni Rossellino. Di Antonio, a Forlì si trova anche il dipinto Madonna con il bambino. Dal 1461 al 1466 realizzò la Tomba del cardinale del Portogallo in San Miniato al Monte a Firenze.
"Fiasca con fiori" attribuita senza convinzione prima a Tommaso Salini e poi a Guido Cagnacci, Antonio Paolucci la definiva il "Quadro più bello del mondo". Adesso che ha il nuovo titolo "Fiori in una fiasca impagliata", viene datata al 1625-1630 e attribuita al "Maestro della Fiasca di Forlì", Paolucci è disposto a concedere che la "'Fiascà è pari alla 'Canestra di fruttà del Caravaggio dell'Ambrosiana, e ad altre due-tre opere" come capolavori assoluti della pittura del Seicento. Questa fiasca è stata uno dei miei primi amori, era nel mio testo scolastico fra Caravaggio e Giorgione, come uno dei dipinti più eccelsi. L'ho sempre attribuita a Cagnacci, ma al pittore di Sant' Arcangelo di Romagna non appartengono la "finezza dell'esecuzione" nei fiori, nell'impagliatura e certo Cagnacci era più areo e non analitico come l'autore della fiasca...e se fosse di Caravaggio? Ma potrebbe essere anche di Annibale Carracci, importante pittore bolognese negli ultimi decenni del Cinquecento in opposizione al manierismo realizzò un profondo rinnovamento figurativo basato sulla volontà di rifarsi alla verità delle cose e di riavvicinarsi alla natura.
In una sala, tutta sola, splende Ebe, il gioiello di Forlì. Antonio Canova lavorò per i committenti più importanti del suo tempo, raggiungendo una fama di livello internazionale. Proprio a Forlì si trova una delle sue opere più belle, l’Ebe, richiesta nel 1816 allo scultore dalla Contessa Veronica Guarini per decorare una sala del Palazzo di famiglia, situato ancora oggi in corso Garibaldi. La scultura venne poi venduta dagli eredi della Guarini al consiglio comunale nel 1887, e da allora è esposta nella Pinacoteca Civica come una dei fiori all’occhiello del patrimonio artistico della città.
L'Ebe di Forlì è l’ultima di una serie di quattro sculture rappresentanti lo stesso soggetto, e venne considerata, dai critici e da Canova stesso, che amava perfezionarsi di volta in volta, la più bella.
Nella mitologia greca Ebe è la coppiera di Giove e tiene perciò nella mani un’ anfora e una coppa di bronzo. Dello stesso materiale sono anche la collana e il nastro tra i capelli della dea.