Séraphine di Martin Provost con Yolande Moreau, Ulrich Tukur, Anne Bennent Biografico, Francia Belgio Germania 2008, 125 min. ***½
Com’è toccante la storia di Séraphine Louis, un’umile donna di servizio che tra un lavoro di fatica e l’altro dedica tutto il tempo che le rimane per dipingere quadri stupendi ed in anticipo sui tempi. Un celebre critico d’arte tedesco, amico di Picasso, la scoprirà ma non riuscirà a strapparla da quella dura vita a cui sembra destinata. Il “tratteggio” registico è tanto raffinato quanto efficace nel raccontare una vita fatta di genialità e sofferenza come questa. Di film biografici su pittori se ne sono visti tanti. Questo ne supera una gran parte, per poesia puntualità e delicatezza. Ineccepibili le recitazioni e la ricostruzione storica.
Quella sera dorata di James Ivory con Anthony Hopkins, Carlotte Gainsbourg, Laura Linney Drammatico, Gran Bretagna 2009, 118 min. ***
Omar Razaghi è un giovane dottorando che vola in Uruguay per ottenere l’autorizzazione dagli eredi di Jules Gund per scrivere una biografia sullo scrittore morto suicida. Da quel momento la sua vita verrà stravolta dal contatto con questa nuova realtà. «I miei [genitori] viaggiavano sempre nel lusso. Anche mentre fuggivano dal signor Hitler e dai suoi nazisti, lo fecero viaggiando in prima classe. Vissero qui [in Uruguay] come avevano fatto in Europa. Vissero nel passato. Il loro passato. Non volevano saperne del presente, di nessun presente in nessun luogo. Il Sudamerica è perfetto per questo, se sei ricco e straniero». Queste le parole di Adam (Antony Hopkins), fratello di Jules, mentre viene proiettato un vecchio filmino in bianco e nero che parla della sua famiglia. Tecnica ineccepibile. Qualche spunto interessante. Inutili i soliti cinque minuti finali. Titolo originale The City Of Your Final Destination.
Da vedere (con riserva)
Dieci inverni
di Valerio Mieli con Isabella Ragonese e Michele Riondino
Sentimentale, Italia, Russia 2009, 99 min.
**
Il film dell’esordiente Mieli, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2009, ha vinto il David di Donatello 2010 per il miglior esordio e il Nastro d’Argento come miglior opera prima. Sono sconcertato. Ora, io non voglio passare come un detrattore a priori del cinema italiano, anche perché sto parlando di un solo film. Ma la verità non bisogna tacerla. Questa opera è desolatamente scarsa. Per vari (sarebbe meglio dire molti) motivi. Prima di scendere nel dettaglio devo però premettere, per coloro che non l’hanno visto, che il film parla di come un ragazzo e una ragazza si conoscono e si innamorano in un arco di dieci anni, soffermando l’analisi sugli inverni che i due passano tra Venezia e Mosca. Dopo questa doverosa anticipazione posso passare ad un’analisi a punti dell’opera. Molto brutale ma, per questo, molto più efficace. 1. Se la realtà socio-affettiva italiana è come quella descritta nel film, non ci rimane altro che spararci un colpo in testa. 2. Le situazioni che i due protagonisti vivono, e che li portano alla conoscenza, sono il frutto di un accumulo fatto di tradimenti, incomprensioni, diffidenze, depressioni, buonismi ecc. Insomma, Mieli “c’ha sbattuto dentro” un po’ tutto. Anche un’accozzaglia di luoghi comuni sui giovani. Per non parlare di Vinicio Capossela che, a un certo punto, sbuca fuori dal nulla e suona al pianoforte una sua canzone. 3. I personaggi non hanno una personalità definita. Che per un film così è una mancanza gravissima. 4. Non è minimamente motivato il fatto che i due protagonisti non trovino mai il tempo ed il coraggio, in dieci anni, di dirsi ciò che provano l’uno per l’altra. E, a causa del modo in cui viene raccontato, è anche poco credibile. Per ora mi posso fermare. L’unico punto a favore del film potrebbe nascere da un’interpretazione differente del quarto “difetto”. Ovvero, una chiave di lettura del film potrebbe essere questa: se le persone si facessero meno problemi e seguissero di più i loro sentimenti, forse sarebbero meno sole. Tuttavia, oltre a questo barlume di speranza, il film si mostra per quello che é. Cinema verità? No, qui si cade nel cinema forzatura. Che fine ha fatto il realismo delle situazioni? Il neorealismo non ha insegnato nulla? La regola dovrebbe essere: poche situazioni, poche parole, una moltitudine di significati (vedi Séraphine). Qui, ma è il caso anche di altri film italiani, si eccede in verbosità e si finisce col non trasmettere quasi nulla.