Novita' I LIBRI DELLA CIVETTA - Giugno / Luglio

Creato il 28 maggio 2013 da Pupottina
Un inizio estate ricca di letture che voglio proporvi ...

C.Bowden e M. Molloy - EL SICARIO

È stato addestrato dall’FBI negli Stati Uniti, è un esperto in rapimenti e torture, ha ucciso centinaia di persone e per vent’anni ha mantenuto la carica di comandante della polizia dello stato del Chihuahua, lavorando allo stesso tempo al soldo di un cartello messicano della droga. Nel suo mondo di corruzione, mantenere l’ordine significava operare contemporaneamente nell’interesse di entrambi, della polizia e dei narcotrafficanti: quando dirigeva la squadra speciale anti sequestro a Juàrez organizzava rapimenti nella stessa città; quando uccideva sotto ricompensa testava i fucili di precisione che facevano parte dell’equipaggiamento dei federali.
Non era un fuorilegge. Non era un ribelle. Era lo Stato. Sembra una storia inventata, la paradossale sceneggiatura di un film d’azione, ma quello che Charles Bowden e Molly Molloy hanno trascritto in questo libro è la nuda verità, le parole ascoltate direttamente dalla bocca di un assassino. Frutto di giorni di colloqui proseguiti per un intero anno, El Sicario è il ritratto di una persona reale, un killer professionista che dopo aver commesso un’impressionante sequela di violenze ed essersi macchiato di terribili atrocità, ha deciso di smettere, uscendone vivo. Ora trascorre un’esistenza da fuggitivo perché sulla sua testa pende una taglia da 250.000 dollari. Questa è la sua autobiografia: un drammatico racconto di innocenza, peccato e redenzione in Cristo; lo sbalorditivo monologo di quello che siamo soliti definire “un mostro”, ma che saremo costretti, in modo altrettanto sorprendente, a riconoscere come una persona apparentemente non diversa dalle altre, un uomo normale cresciuto in un luogo assurdo. Una voce solitaria che per prima ha deciso di parlare – di u mini come El Sicario ce ne sono centinaia in Messico – e di raccontare il volto segreto della guerra alla droga, la verità che nessuno vuole sentire.

Laura Lippman - I MORTI LO SANNO

Il detective Kevin Infante della squadra Omicidi di Baltimora non si aspettava certo di passare una mattinata intera al St. Agnes Hospital in compagnia di Gloria Bustamante, l’avvocato difensore più rompiscatole della Contea di Baltimora. Rossetto sbavato, tailleur senza un bottone, scarpe, un tempo di lusso, sformate e consunte in punta, la Bustamante assiste una donna coi capelli biondi, di età indecifrabile, tra i trentacinque e i quaranta forse, ricoverata in evidente stato di confusione in un reparto dell’ospedale. Qualche giorno prima, per un velo d’olio sulla strada, la berlina della donna è scivolata a sinistra come l’ago di un tachimetro impazzito, si è girata su se stessa e si è adagiata sulla fiancata di un SUV bianco. La donna ha visto il SUV rotolare con lente capriole giù per la scarpata, ma non si è fermata. Spaventata dal frastuono dei clacson e dallo stridore dei freni, è scappata via per abbandonare la macchina sul ciglio di una strada lontana. Infante e la Bustamante sono, però, al St. Agnes Hospital non per il reato di mancato soccorso, ma per una stupefacente dichiarazione della donna, che mette e a soqquadro le redazioni delle gazzette e delle tv dell’intera Contea di Baltimora. La donna, che secondo il libretto dell’auto dovrebbe essere Penelope Jackson, di Asheville, North Carolina, ha detto di chiamarsi in realtà Heather Bethany e di essere una delle due sorelline scomparse una trentina d’anni fa in un centro commerciale di Baltimora. L’opinione di Infante e degli inquirenti è che la donna ora ricoverata al St. Agnes Hospital finga e spari cose campate in aria per la disperazione. Certo, un esame del DNA potrebbe sciogliere l’enigma e appurare l’identità della sedicente Heather, se solo i coniugi Bethany fossero i genitori naturali e non adottivi delle sorelle e, soprattutto, se fossero rintracciabili. Trent’anni dopo tutti i testimoni possibili appaiono o passati a miglior vita o impossibilitati a parlare. Solo i morti, dunque, sanno? Giallo in cui Laura Lippman dimostra davvero di saper esplorare «il cuore umano» (Tess Gerritsen), I morti lo sanno rapisce e trascina letteralmente il lettore fino all’attesa rivelazione finale, rimasta magicamente nascosta pur essendo del tutto evidente nello svolgimento stesso del romanzo.

Edmund Crispin - LA MOSCA DORATA

Inghilterra, 1940. Alcuni attori e attrici della scena teatrale londinese vengono convocati a Oxford per mettere in scena una pièce importante che punta al grande successo. Le prove però si rivelano presto difficili perché ad animare il gruppo non è solo l’amore per la recitazione ma anche una certa rivalità interna e un variegato intreccio di relazioni sentimentali, presenti e passate, con relative ruggini e melasse. In particolare, Yseut Haskell, procace attricetta dal talento assai modesto, sembra possedere il gusto perverso del seminar zizzania, cosa che la rende invisa agli altri in modo pressoché uniforme. Così tanto che, quando il secondo giorno si scopre che si è suicidata, nessuno riesce a nascondere il proprio intimo sollievo. Ma a ben guardare, che bizzarro suicidio! Quasi «impossibile». A formulare dubbi è il mentalmente ipercinetico Gervase Fen, quarantenne professore di letteratura inglese del St. Christofer College, eccentrico e franco spesso al limite della maleducazione. Appassionato di trame poliziesche, il suo sogno era giusto quello di avere a che fare, un giorno, con un bel delitto vero da risolvere. Come perdere dunque un’occasione simile? Così, facendo dispetto al suo caro amico Sir Richard Freeman, capo della polizia di Oxford con un debole per la letteratura, orientato a chiudere il caso come suicidio e tornare presto a immergersi tra i suoi amati classici, Gervase a sua volta abbandona di buon grado i libri e, ficcando il naso qui e là, mette insieme i primi dettagli di un quadro delittuoso che si annuncia tanto certo quanto vario e sibillino. Come trovare chi ha sparato quando chiunque ammette che avrebbe volentieri premuto il grilletto? Muovendosi tra l’ambiente del teatro e quello universitario come in un faceto rimbalzo tra messinscena e realtà provata, l’indagine procede tanto per il nostro improvvisato e brillante segugio quanto per il lettore stesso che si ritrova, man mano, con elementi chiari ed altrettanti depistamenti. Fino allo svelamento finale, degno della migliore tradizione del romanzo giallo.

Daniel Silva - RITRATTO DI UNA SPIA

Il week end di piacere a Londra di Gabriel Allon e di Chiara, la sua incantevole moglie di origini veneziane, è appena cominciato. Dopo una visita presso una galleria d’arte in St. James, dove si recano per autenticare un quadro di Tiziano recentemente venuto alla luce, i due decidono di pranzare in un quieto ristorante italiano dello Strand, non lontano da Westminster. Sono due diverse esplosioni dinamitarde, a Parigi e ad Amburgo, a fare improvvisamente calare il sipario sulla loro incantevole giornata autunnale: poco dopo, infatti, lungo Wellington Street, agli occhi esperti di Gabriel non sfuggono i gesti di un individuo che sembra intenzionato a portare a termine un terzo attentato. L’uomo sembra avere il tipico atteggiamento degli attentatori kamikaze, quelle caratteristiche che Gabriel, uno dei massimi esperti mondiali di strategie antiterrorismo, conosce fin troppo bene.
La Beretta ben nascosta, Gabriel decide così di seguire l’individuo sospetto tra la folla che popola il mercato di Covent Garden; ma prima ancora di poter estrarre la pistola viene atterrato da due poliziotti londinesi in borghese. Un istante dopo accade il peggio – corpi e sangue ovunque. Perseguitato dal fantasma del proprio fallimento, Gabriel si trincera nel suo cottage sulla costa della Cornovaglia, nell’illusione che il suo ruolo all’interno della vicenda sia ormai terminato. Ma quando una convocazione della CIA lo raggiunge si ritrova precipitato all’interno di un’operazione contro una tremenda organizzazione criminale, capeggiata da uno yemenita di origini americane: un religioso a cui Allah ha donato “una lingua seducente”. La posta in gioco non può essere più alta.

Elizabeth Haynes - NELL'ANGOLO PIU' BUIO

Catherine è una ragazza che ha sempre vissuto irresponsabilmente la sua giovinezza, tra party, alcol e partner occasionali, quando incontra Lee. Sguardo rude ma diretto, prestante d’aspetto e risoluto nei modi, Lee infrange subito il suo cuore. Il tempo necessario per un romantico corteggiamento e Catherine accetta, senza alcuna esitazione, di andare a vivere con lui. La scelta si rivela impeccabile nei primi mesi di convivenza: Lee è affettuoso, pieno di premure e attenzioni. Appare stranamente sfuggente soltanto quando viene interrogato sul suo lavoro, ma Catherine, innamorata com’è, non fa attenzione a questa trascurabile reticenza. Poi, gradualmente, attraverso segni appena percettibili, piccole scenate di gelosia, critiche per un’acconciatura o per un abito troppo eccentrico, il clima muta. Lee diventa ombroso, cupo, si assenta misteriosamente per giorni e, infine, in un’escalation drammatica, svela il suo vero volto. Schiaffi, torture psicologiche, botte, insopportabili umiliazioni fisiche, Catherine viene violata nell’intimo, rinchiusa a chiave in una stanza, ridotta a vittima inerme di un carnefice senza pietà. Probabilmente morirebbe se, in circostanze accidentali, non fosse scoperta nella sua agonia da una vicina di casa, che denuncia Lee e ne determina l’arresto, il processo e la condanna. La violenza psichica è penetrata, però, a fondo nella mente e nell’anima di Catherine. La ragazza cambia ogni giorno strada per tornare a casa, azzera le sue relazioni col mondo esterno, ispeziona ogni ora meticolosamente la sua abitazione, assume comportamenti compulsivi estremi dettati dal fantasma incancellabile del suo carnefice. Un fantasma che diventa di carne e ossa il giorno in cui una telefonata annuncia che Lee è uscito di galera.

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