Sotto, nei pianuroni dell’India, operano ben 6 centrali nucleari con 20 reattori, nel Rajasthan, nell’Uttar Pradhes, Maharasthra, nel Tamil Nadu, Gujarat e Karnataka. Il piano è raddoppiarle nei prossimi anni grazie agli accordi per il trasferimento di tecnologia con i paesi occidentali (specie USA) e la Russia. Una centrale in costruzione a Jataipur (Maharastra) per rifoccilare Bombay è stata contestata dagli abitanti degli oltre 20 vilaggi vicini. Il governo indiano pensava d’acquistare 6 European Power Reactors (EPRs) dalla francese Areva ma questi reattori di nuova generazione hanno già creato problemi in UK e Finlandia. I contadini del Gujarat sorvegliano le strade che portano ai loro villaggi (Jasapara e Mithi Virdi) per bloccare gli ingegneri che stanno facendo un survey per una nuova centrale. Lo stesso accade fra le sperdute tribù dei Mandla , a Chutka (Madhya Pradesh).
Anche qui alla gente non piace avere centrali vicino ai campi di riso ma, sembra, che, in India, ci sia una maggiore trasparenza e comunicazione. Dopo il disastro giapponese, l’ente statale di controllo (Nuclear Power Corporation) ha promesso di aggiornare i sistemi di sicurezza e di “share the entire safety means with the public in a trasparent way”. Fukushima, dichiarano gli esperti indiani, è stato un incidente straordinario per la rara combinazione di eventi. Attualmente l’80% dei reattori indiani è self-made e sembra che funzionino bene. Anche durante lo Tsunami del 2004, la centrale di Lapakkam nel Tamil Nadu subì solo qualche danno senza provocare fughe radioattive. Nel 2001 con un terremoto del 6.7 grado di magnitudine la centrale di Kakrapur (Gujarat) continuò a funzionare. I reattori indiani usano uranio naturale e non arricchito (come la maggior parte compreso quelli giapponesi) e sono, perciò, considerati più sicuri. La loro collocazione è in zone poco sismiche (Zone 3) mentre quello di Fukushima è in zona 5. Questo è quanto dicono gli esperti ma chissà se i contadini la sanno, come spesso accade, più lunga.