Ho letto oggi sulla “Staffetta Quotidiana” un interessante articolo scritto da Carlo Stagnaro, giornalista che apprezzo molto e assolutamente competente riguardo le questioni energetiche ed ambientali. L’articolo in questione si intitola “Le domande inevase sul nucleare. In attesa di una risposta della politica” e vi si legge un’analisi puntuale al libro di Alberto Clò, “Si fa presto a dire nucleare” (molto più puntuale dell’analisi di parte che avevo letto in un pessimo articolo sul Fatto Quotidiano). Il libro, che al momento sto leggendo, mi lascia parecchio perplesso in quanto, in generale, si capisce che Clò si dichiara favorevole alla produzione di energia mediante il nucleare ma è perplesso sulla sua possibile attuazione in Italia. Un atteggiamento che io ritengo parecchio disfattista. Secondo Clò (e anche secondo me) “la tecnologia che più di tutte era riuscita a incanalare la tensione verso il progresso” è stata fermata dagli incidenti di Three Mile Island e Chernobyl che ha portato l’energia nucleare ad essere l’oggetto di paure irrazionali. Paure che “poggiano su una scarsa comprensione dei fenomeni fisici alla base della produzione elettronucleare e delle misure di sicurezza presenti nelle centrali”. Ciò si è tradotto in una progressiva e devastante “delegittimazione del sapere, il frutto più avvelenato e duraturo del referendum del 1987”, che ancora oggi impedisce di parlare della questione in termini razionali. Finalmente qualcuno che lo dice esplicitamente! Alberto Clò, però, aggiunge che oggi il ritorno al nucleare è ostacolato soprattutto da fattori economico-politici e che le ragioni dell’arresto si trovino nella mancanza di un mercato competitivo e da una forte ingerenza dei governi nell’economia. Ma tutto questo deve per forza significare la fine del nucleare? Clò ne sembra convinto, ma Stagnaro proprio no (e neanche io). E’ il modello finlandese ad offrire un’efficace risposta alla sfida finanziaria del nucleare. Come funziona questo modello? Consiste nella “chiusura di un accordo di lungo termine per la cessione, a prezzo concordato tra le parti ma non regolamentato, di parte dell’energia prodotta in cambio di una partecipazione al capitale iniziale”. In questo modo “i rischi legati al prezzo e alla quantità vengono ripartiti in modo più efficiente e tollerabile (e non annullati come nel modello monopolistico)”. Cosa significa tutto ciò? Significa che sono le imprese stesse a decidere di investire nel nucleare in cambio di energia ma senza una legislatura a monte che precluda l’accesso ai competitor in nessuno stadio della filiera; più sono ad investire più ovviamente è conveniente. Insomma, se conviene o no dipende dagli investimenti a monte delle imprese che devono decidere da sole se investire e per questo non devono essere “imbavagliate” da alcuna legge. Chiaro? Bisogna aggiungere che al momento i principali soggetti coinvolti (come ad esempio l’Enel http://blog.panorama.it/economia/2010/06/21/energia-con-il-nucleare-bolletta-meno-cara-del-30-cento/) hanno dichiarato di essere pronti ad investire nell’atomo anche in assenza di sussidi o di aiuti di altro genere. Quindi perché essere disfattisti come Clò e precludersi in partenza il ritorno al nucleare? Il libro offre degli ottimi spunti (anche molto tecnici) che possono essere presi in considerazione per rimuovere le criticità e correggere il tiro. Le aziende stanno facendo il loro meglio per essere chiare, adesso è il momento della politica.