disperata, la voce del folle
poeta dalla torre d’avorio
sul Neckar, del millantato
mondo la miseria fiutata
nell’aria, nel doppiofondo
in divenire del progresso,
nell’ordinaria sorte.
E a che la poesia? Distilleria
che spreme un poco di bene
dall’abisso dell’umana
cretineria, mani ad artiglio
che scarnificano le masse
adipose del superfluo,
svelando le fossili ossa.
Le poesie sono rose canine
che pretendono da chi le annusa
d’essere impugnate per le spine.