Guido e Serena hanno due figli e vivono nella Roma degli anni Settanta. Lui è un aspirante artista che cerca di emergere più coi modi da maudit che attraverso le proprie capacità, lei una casalinga che crede ciecamente nel marito e si annulla pur di non perderlo. La relaziona comincia ad avere degli alti e bassi sempre più frequenti quando lui non riesce a sfondare e lei realizza di non avere una propria personalità. La situazione precipita quando Serena si allontana dal marito fedifrago e ormai fallito, con figli al seguito, per un soggiorno in un campeggio femminile marxista dove ha una relazione con la gallerista del compagno. Al suo ritorno la coppia si sfalda e Guido vive una fase di depressione che riuscirà ad incanalare in una spinta creativa che lo riscatterà agli occhi dei critici. Qui il film poteva finire e invece, attraverso le reazioni dei figli, Luchetti rimarca il fatto che erano “anni felici ma che nessuno se ne era accorto”.
La voce fuori campo di Dario adulto che introduce gli eventi ci spinge ad immedesimarci in lui, a pensare che quello che stiamo per vedere è il ricordo della sua infanzia. Effettivamente l’intento dichiarato del regista era quello di dare vita ad un opera sì romanzata ma dall’impianto autobiografico. E invece ciò che ne esce non è la ricostruzione di una situazione famigliare dalla prospettiva di un bambino, quanto una sorta di Scene da un matrimonio “all’italiana” che si concentra ora sulle reazioni della moglie, ora su quelle del marito, ora su quelle dei figli. Questa continua indecisione prospettica (che svuota di pathos la scena più importante del film), unitamente alla poca distanza del regista dagli eventi narrati, alla mancanza di soluzioni registiche degne di nota e all’assenza di una storia sulla famiglia veramente capace di appassionare e di dire qualcosa di più rispetto a quello che già è stato detto (non basta l’escamotage di una storia lesbica per attualizzare e rendere accattivante la narrazione) sono elementi che non permettono al film di decollare, nonostante l’eccellente recitazione di Rossi Stuart e della Ramazzotti e l’ottima ricostruzione dei costumi e degli interni (tuttavia si nota la tendenza a chiudere le inquadrature, soprattutto negli esterni, per evitare di riprendere elementi architettonici contemporanei). Un film dunque poco a fuoco, come le opere del padre Guido: troppo accademiche per “rapire” l’attenzione degli spettatori, troppo convenzionali per risultare memorabili.
Voto: 2 su 5
(Film visionato l’11 ottobre 2013)
Nuova recensione Cineland. Anni felici di D. Luchetti
Creato il 14 ottobre 2013 da L'Immagine Allo SpecchioPossono interessarti anche questi articoli :
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