
Birdman di Alejandro González Iñárritu con Michael Keaton, Edward Norton, Zach Galifianakis, Naomi Watts, Emma Stone Commedia, 119 min., USA, 2014
Storia di Riggan Thompson (Keaton), celebrità hollywoodiana che si vuole scrollare di dosso l’etichetta di attore da blockbuster portando in scena a Broadway uno spettacolo teatrale ispirato al racconto di Raymond Carver What We Talk About When We Talk About Love. Incombono su di lui i successi commerciali del passato, rappresentati dalla voce di quel Birdman, supereroe di cui aveva indossato le vesti, che gli ricorda quanto sia più facile e proficuo (per le tasche e per l’ego) percorrere la strada cinematografica del remake piuttosto che quella del teatro. Riuscire a portare a compimento il proprio progetto, riuscire a convincere pubblico e critica di essere un Attore, diventano per Riggan un’ossessione. Tutt’intorno i problemi famigliari, gli sforzi per non disunire la compagnia, la competizione con un attore più giovane e talentuoso, i dubbi sulla propria esistenza.
Iñárritu esplora la contemporaneità attraverso la dicotomia tra teatro e cinema, dimensione pubblica e privata, realtà (vita reale) e rappresentazione (rappresentazione scenica). Lo fa attraverso lunghi piani sequenza che indagano gli (angusti) spazi del teatro seguendo gli attori e svelandone gelosie, debolezze, promiscuità. Come le opere carveriane e altmaniane, Birdman vorrebbe elevare al massimo grado di “onestà” (nel senso hemingwayano del termine) le vicissitudini del suo antieroe contemporaneo, schiacciato da un sistema (quello dello spettacolo) che glorifica ma che troppo spesso dimentica o discrimina. Non ci riesce.
Il raffinato gioco di rimandi (Keaton è stato il Batman di Tim Burton; molte sono nel film le citazioni di attori realmente esistenti) non è infatti così incisivo e funzionale come ci si potrebbe aspettare e anche i riferimenti alla nuove tecnologie (la notorietà ridefinita da YouTube e Twitter), il finale aperto e ermetico, gli effetti speciali non fanno altro che tradire un malcelato tentativo di svecchiare una tematica di stampo esistenzialista già ampiamente visitata dal mondo delle arti.
Certo, Iñárritu mette in campo tutta la sua bravura registica ottenendo da troupe e attori una prova egregia, tuttavia l’enorme mole e autoreferenzialità delle tematiche trattate finisce con il nascondere qualsiasi barlume innovativo dell’opera, vanificandolo.
Voto: 3 su 5
(Film visionato il 14 febbraio 2015)