È estremamente difficile dare un giudizio su quest’opera. Da una parte si rimane folgorati dalla storia: onesta (secondo l’accezione hemingwayana), senza tempo, perfetta. Dall’altra c’è la messa in scena del regista. E, assodato che la base è un’opera letteraria la cui grandiosità non può essere messa in discussione, è proprio su quest’ultima (e solo su quest’ultima) che bisogna focalizzarsi.
Ci si trova indiscutibilmente di fronte ad un’opera postmoderna, dove il contesto storico in cui si svolge l’azione accoglie elementi “estranei” al fine di risultare più accattivante. E allora gli usi e i costumi cercano di essere quelli degli anni venti, mentre la musica e alcuni comportamenti dei personaggi giungono direttamente dalla contemporaneità. Passo falso del regista? Non proprio. Luhrmann evita di creare confusione nello spettatore inserendo elementi attuali (come le musiche di Jay-Z) di preferenza solo nelle scene corali (le feste nella magione di Gatsby o le “orge” negli appartamenti di città), diventando di contro strenuo difensore della più conservatrice lettura dell’opera fitzgeraldiana nella messa in scena della travagliata storia d’amore tra Gatsby e Daisy.
Ne esce così un’opera didascalica, neanche troppo coraggiosa, che ha sì il merito di farci apprezzare l’universalità dell’opera di F.S. Fitzgerald anche grazie al 3D (qui marcia in più) ma che non ci permette né di respirare la vera essenza degli anni venti (troppo poco sesso, alcool, coca e charleston!) né di evocare la deriva valoriale della società occidentale contemporanea. Periodi non a caso sfocianti in due tremende crisi economiche mondiali.
Voto: 3 su 5
(Film visionato il 18 maggio 2013)