E pensare che Il primo uomo è nato come una sorta di “ripiego”. Gianni Amelio doveva girare un film sull’immigrazione paterna in Argentina ma sembra che produttori e committenti lo abbiano piantato in asso. La conseguente necessaria virata lo ha fatto approdare alla trasposizione dell’ultimo incompiuto romanzo omonimo di Albert Camus.
Ne è uscita un’opera asciutta, misurata, delicata, profonda. Una sorta di romanzo di formazione in immagini che poggia sull’educazione alla vita e ai sentimenti di Jacques Cormery (Jacques Gamblin), il protagonista. Questi è uno scrittore algerino di successo che dalla Francia torna al suo paese d’origine ufficialmente per una conferenza all’università ma, in fondo, per ricongiungersi con i suoi cari. Come una madeleine proustiana, è il letto sul quale Jacques si mette a dormire che fa scattare il meccanismo del ricordo che ci porterà a conoscere l’Algeria colonizzata d’inizio XX secolo ed il bambino che era.
Grazie all’ottima prova degli attori (su tutti Gamblin, ma anche il Jacques bambino Nino Jouglet) e alla sobrietà del racconto, veniamo assorbiti da quella che è un’ottima riflessione sull’identità (chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo) senza mai dimenticare che essa è profondamente legata al nostro luogo d’origine. Un gradino sopra Terraferma (Emanuele Crialese, 2011), molti rispetto a Baarìa (Giuseppe Tornatore, 2009), Amelio ha creato una piccola e perfetta perla che nobilita il cinema italiano del 2012.
Voto: 4 su 5
(Film visionato il 20 luglio 2012)