Nuovo Prosecco Avanza

Da Trentinowine

Riceviamo, da Angelo Rossi, e volentieri pubblichiamo

di Angelo Rossi – L’appuntamento di un gruppetto di enologi trentini con Giovanni Gregoletto era stato fissato di buon mattino nel chiostro dell’Abbazia di Follina. Un buon posto per cominciare una due giorni fra Conegliano e Valdobbiadene “dove il Prosecco è superiore”, tanto per parafrasare il Consorzio di Tutela che da anni guida un’incredibile performance. Giovanni è persona nota e stimata da tutti, i piedi piantati nella storia di un territorio che ha contribuito a svelare e la testa volta al futuro. Il presente da vivere come testimone quasi distratto, sviato dalla sua immensa cultura, dagli antichi codici d’agronomia al suo SUV che sta per Spazio dell’Uva e del Vino. Mentre il padre, pimpante, sta partendo da Premaor di Miane con il carico giornaliero di bottiglie e la moglie avverte che su, nel tinello di casa è tutto pronto per la degustazione; vanno in scena nell’ordine un Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG 2012 (d’ora in poi solo C.V.P.), il Famigliare (il Colfonfo di casa) ed un intrigante C.V.P. DOCG Superiore Extra Dry, couvée di due annate. Non fosse per le cento conferme successive, del Prosecco ne sapremmo già abbastanza, tanto Giovanni è stato esaustivo.

Prima che un vino, Prosecco è un Comune vicino a Trieste, un po’ lontano dal vigneto trevisano. Con geniale visione si è blindata l’origine geografica allargando (2009) la zona di produzione fino a comprenderlo, tutelando così produttori e consumatori dai tarocchi. La varietà di vite coltivata, fino a ieri nota anch’essa come Prosecco, è diventata per tutti Glera e in azienda è tollerato un massimo del 15% di Verdiso, Bianchetta, Perera, Glera lunga, Pinot o Chardonnay. La piramide produttiva della DOC ha una base di 13.500 ettari in Veneto (escluso Verona e Rovigo) e Friuli (ca. 5 mila ha). Resa unitaria a 180 quintali. 6 mila produttori per 120 milioni di bottiglie e 450 milioni di fatturato, per il 60% all’estero. La zona più ristretta del C.V.P. Superiore DOCG poggia, invece, sulle colline di 15 Comuni fra Conegliano e Valdobbiadene con resa ridotta a 135 q.li/ha. 5.600 ettari in mano a 3.000 viticoltori e 165 Case spumantistiche che assieme vendono 65 milioni di pezzi e con fatturato superiore ai 400 milioni. Qui le sottozone (43) possono chiamarsi “Rive” mentre al vertice sta il mitico Cartizze (116 ettari per 165 proprietari con resa unitaria a 120).

Un fenomeno, quello del Prosecco, che fa numeri con industrie d’alto bordo come Villa Sandi di Giancarlo Moretti Polegato a Crocetta del Montello, dei Marchiori a Farra di Soligo e di Canevel a Valdobbiadene visitate nell’ordine. Numeri che si fanno con prodotti di punta, non solo spumanti brut, extra dry e dry elaborati per lo più in autoclave per gusti diversi, ma anche frizzanti, vini tranquilli, passiti e distillati. Senza dire dei Colfondo che tanto intrigano come testimoni storici della tradizione per quella rifermentazione in bottiglia che salta l’ultimo passaggio dell’illimpidimento consegnando al consumatore un vino sulle sue fecce e col tappo spesso legato con dello spago. Gli “spago”, appunto. Un’esperienza che parla della versatilità del vino e della versatilità delle occasioni di consumo: dalle 9 di mattina a mezzanotte ed oltre, un vino-sveltina da gustare come trasgressione. Così, per stessa compiaciuta ammissione dei produttori. Impossibile riassumere tutte le degustazioni, basti dire ad es. che da Umberto Marchiori il confronto è stato fra 4 Valdobbiadene, 4 Conegliano, 4 DOCG fra i più venduti, 4 Colfondo e una verticale di 2010, 2008, 2007 e 2004. Anche sui prezzi, ovviamente c’è di tutto, da pochi Euro la bottiglia a ben oltre i 10. Un mondo da conoscere per sapersi meglio orientare, cosicché all’indomani, col sole tornato ad illuminare le colline, siamo stati ospiti di Roberto Spagnol all’azienda Col del Sas in Colbertaldo di Vidor. Una disponibilità ed un entusiasmo stupefacenti, visite da un capo all’altro della zona DOCG da Saccol in area Cartizze verso oriente fino a S. Pietro di Feletto attraverso Farra di Soligo e Solighetto. Una meraviglia di ripidi cocuzzoli vitati alternati a più dolci colline. E vini coerenti. Come per coerenza è saltata la visita a Cà dei Zago in San Pietro di Barbozza: tutti impegnati nella lotta antiperonosporica che ha fatto agio anche sugli amici più stimati. Ma nessuno s’è perso d’animo ed ecco, Alessandro Carlassare dei “Saggi Bevitori” tirare fuori dal cilindro un’alternativa che ha dell’incredibile, ma vera. C’è, da quelle parti, senza indicazione alcuna se non un foglio A4 fissato all’inizio di un sentiero, un’Osteria senza oste! Un posto ameno con vista mozzafiato chiusa fra Piave e Montello, dove nel frigo si trovano diverse bottiglie di Prosecco e non solo, formaggio di malga ed appesi al trave, salami (si chiamano così fino all’estate, poi diventeranno Soprèssa), pane e bicchieri. Ci si serve di quanto basta, lasciando un corrispettivo in una cassettina. 

Caso volle che sorprendessimo l’Oste, un industriale che preferisce restare anonimo, proprio nel momento del rifornimento, così l’abbiamo conosciuto e radiografato: inutile dire che è finita degustando all’antica … dall’imbuto chiuso col dito per penuria di bicchieri e con uno scambio di doni. Chi ne ha portati via di più siamo stati noi trentini. La finale delle due giornate, dopo un pranzo al Salis di S. Stefano, ci riservava ancora due visite piene: da Andrea Miotto che stigmatizza come il Colfondo abbia un prezzo scandalosamente basso (2- 3,50 €/bott.) che potrebbe raddoppiare se tutti utilizzassero partite di qualità, per finire in bellezza dai Frozza sempre a Colbertaldo dove i furgoni stracarichi di certi loro clienti stiriani davano la misura del business. Anche qui stessi riti, uguale entusiasmo, ospitalità sincera e, pur non richiesto, da tutti i produttori si è sentito un giudizio positivo ed ammirato per i colleghi. Altro che concorrenti! Roba che di solito si sente solo dai vignerons borgognoni o di Champagne. Bisogna convenire che sono sulla strada giusta e, per dirla con Carlassare, “anche con una varietà simpaticona come la nostra, si può fare qualcosa di buono”. Eccome.


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