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di Michele Marsonet. E’ davvero incredibile il livello di confusione che la crescita esponenziale del terrorismo islamista ha generato nell’intero Occidente. Molti si illudono ancora che un’intensificazione dei bombardamenti in Siria, Iraq e – forse – Libia riesca a frenare il fenomeno per poi condurre alla sua eliminazione.
L’idea sarebbe corretta se i terroristi e le loro basi fossero radicati soltanto in quei contesti territoriali e, quindi, individuabili con una certa facilità. La realtà è purtroppo assai diversa, come ben dimostrano attentati e stragi avvenuti negli ultimi tempi.
Non siamo ancora riusciti a capire che il radicalismo islamico è penetrato nel tessuto delle società occidentali in un modo così profondo da impedire l’individuazione preventiva di coloro che possono colpire. E ciò vale non solo per i Paesi di un’Unione Europea sempre più in affanno, ma anche per Stati Uniti, Canada e la lontanissima Australia.
Certo, i servizi di intelligence stanno lavorando a pieno ritmo e piuttosto bene, ottenendo in molti casi ottimi risultati. Ma è come pretendere di svuotare il mare con il proverbiale secchiello. A ogni successo s’accompagna una strage improvvisa e imprevista, col che i terroristi dimostrano di poter comunque colpire quando e dove vogliono, a dispetto di ogni misura di prevenzione.
L’Italia, in fondo, è stata (finora) toccata in misura minore da questo terrore che compare del tutto inatteso lasciandosi dietro fiumi di sangue. Invece Paesi come Francia, Regno Unito e il piccolo Belgio stanno sperimentando un allarme quotidiano che, se durasse a lungo, finirebbe col bloccare non solo le istituzioni, ma pure la vita civile nel suo complesso.
E’ la sindrome del “terrorista della porta accanto”, una persona che ha vissuto per anni in mezzo a noi conducendo un’esistenza apparentemente normale, salvo rivelarsi nei panni di killer spietato nel momento da lui o lei scelto. Ed ecco quindi il panico, il diffondersi della sensazione che poco o nulla si possa fare, la crescita di un senso di ineluttabilità che genera una paura costante.
Nessuno in Occidente ne è immune, e i politici appaiono spesso distanti dagli umori profondi dell’opinione pubblica. Lo dimostra anche l’ultima strage negli USA. Barack Obama era partito come sempre lancia in resta contro la vendita libera delle armi, salvo poi procedere a una rapida marcia indietro quando si è appurato che i killer erano adepti del califfato.
Non penso sia necessario ripetere i soliti rilievi circa un multiculturalismo superficiale che ha consentito la presenza nelle nostre città di interi quartieri in cui vige la sharia, quartieri in pratica “off limits” per le stesse forze dell’ordine. Si è già detto abbastanza al riguardo e, in ogni caso, è troppo tardi per reagire con misure normali.
Il fatto da notare è che il cuore del conflitto è – in senso lato – culturale. Va mantenuta senza dubbio la distinzione tra islamici moderati e radicali, anche se talvolta la linea di confine è incerta. Tuttavia molti episodi avvenuti nelle scuole lanciano un segnale d’allarme. Sempre più spesso i ragazzi cresciuti in famiglie islamiche rifiutano il dibattito con gli altri poiché ciò li condurrebbe a discutere i dettami di un libro sacro che riporta nelle sue pagine la Verità assoluta e, in quanto tale, incontrovertibile.
E noi non siamo più abituati a prese di posizione di questo tipo. Il relativismo è così comune da indurci a credere che tutti lo condividano. Non siamo insomma in grado di opporci a chi della suddetta Verità assoluta si ritiene portatore.
Quale possa essere la via d’uscita, allo stato dei fatti, è difficile dire, proprio perché ci troviamo di fronte a persone che hanno lo stesso nostro passaporto e godono dei nostri stessi diritti di cittadinanza. Nei loro Paesi d’origine tutto questo è impossibile, e ciò basta per capire la tragica asimmetria in cui ci siamo – inconsapevolmente? – cacciati.
Il Presidente americano continua a dire che ci vorranno decenni per sconfiggere questa particolare forma di terrorismo ma, se continua così, è lecito nutrire dubbi sulla possibilità di riuscirci. E occorre riconoscere con onestà che gli attuali nemici dell’Occidente – a differenza dei loro predecessori – sanno sfruttare con grande abilità la sua debolezza.