NUR che vuol dire… LUCE. L’Aquila che vuol dire pace.

Creato il 28 luglio 2012 da Federico

Alle Olimpiadi di Londra 2012, la giovane atleta malese Nur Mohamed Suryani Taibi gareggerà in questi giorni in uno sport poco conosciuto, chiamato Air rifle, e avrà perciò in mano un grosso fucile con cui dovrà centrare un bersaglio. Ma che vinca o meno una medaglia, Nur un bel traguardo lo raggiungerà di certo: sarà la prima atleta a gareggiare all’ottavo mese di gravidanza. Ha avuto la soddisfazione non solo di essere scelta per rappresentare la sua nazione, la Malesia, quale prima atleta donna a cimentarsi nello Air rifle, ma soprattutto di entrare nel piccolo novero delle atlete olimpiche in dolce attesa. Così uno dei blogger che raccontano l’avvio dei Giochi Olimpici 2012 ha presentato una Donna, madre, atleta, araba il cui nome, NUR, si traduce in LUCE.

Ma NUR è anche il titolo dell’Opera lirica in atto unico del Maestro Marco Taralli, in scena in questi giorni al Festival della Valle d’Itria a Martina Franca e che presto vedremo, seppure in video, a L’Aquila, la città alla quale è ispirata, in occasione delle prossime celebrazioni della Perdonanza Celestiniana.

Senza dubbio una coincidenza molto particolare.

Sono andato a Martina Franca come appassionato di Musica certamente, ma credo di aver fatto questo viaggio soprattutto perché sono un giornalista aquilano, colpito e coinvolto nella tragedia del sisma del 2009 nella quale più di 300 persone persero la vita e ci furono migliaia di feriti.

Grazie all’amicizia del Maestro Taralli ho potuto assistere alla prima assoluta dell’Opera NUR e come tutti in sala sono rimasto molto colpito, da un’Opera musicalmente bella, complessa nel racconto, colta nel testo.

L’opera, della durata di settantacinque minuti, è eseguita dall’ensemble cameristico di diciannove elementi dell’Orchestra Internazionale d’Italia e dal Gruppo vocale di dieci giovani cantanti dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”. Sul podio, il trentaseienne spagnolo Jordi Bernàcer. La regia è affidata alla fine sensibilità di Roberto Recchia, mentre le scene e i costumi sono di Benito Leonori.

La storia in estrema sintesi è questa: tutto accade in una notte dopo il terremoto del 6 aprile 2009 in un Ospedale da campo allestito, nei primi giorni dal sisma, sul prato antistante la Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila. È la storia di una donna senza nome, terrorizzata e confusa, che ha misteriosamente perso la vista dopo il crollo della sua casa. Il libretto di De Vivo, scritto con uno stile serrato, quasi da cronaca giornalistica, sottolineato da una musica che da un lato si fa urgente come il ritmo del dramma che coinvolge la città dell’Aquila e dall’altro avvolge e narra la sofferenza e lo smarrimento delle anime accolte nell’Ospedale da campo, concentra l’attenzione sul dramma della  figura della donna protagonista di tutta l’Opera: Luce. La notte si srotola tra deliri e visioni di Luce, mentre i compagni di corsia sono disturbati dal suo continuo lamentarsi per il buio che la circonda. La Basilica (di Collemaggio n.d.r.) simbolo della storia di questa città e del messaggio universale del perdono, atto più alto dell’umano agire fa da sfondo narrativo al terremoto che cancella, che sconvolge, ma che, allo stesso tempo, permette di ricostruire il sentire di una comunità e di riappropriarsi del senso profondo dell’animo umano.

L’Opera si svolge come un percorso che conduce da un piano terreno a quello spirituale, diviene un mezzo per la conoscenza e lo strumento per trasmettere la forza dell’integrazione come generatrice di un mondo possibile. “Nur parla di angoscia e sofferenza, ma è anche un cammino alla ricerca della luce, la luce della compassione e dell’accoglimento di chi è diverso da noi o più semplicemente «lontano», «altro» da noi. Ci dice il maestro Marco Taralli poco prima di entrare in teatro. Quel “lavoro” chiama il Maestro la sua Opera, si percepisce chiaro dai primi istanti; ti rapisce, ti prende il cuore e a tratti ti toglie il respiro… racconta quel dolore, un dolore immenso, straziante…collettivo…che disorienta la coscienza e ferisce, indelebilmente, l’animo. Vedere Nur è partecipare a una drammatica esperienza collettiva, che nasce dal vissuto di una catastrofe naturale e si scompone, passo dopo passo, prima nella memoria individuale e poi via via in quella collettiva di un popolo che ha radici antiche, quello aquilano, un popolo silenzioso e riflessivo, consapevole dell’avversità degli elementi ma forte nella sua spiritualità.

E la protagonista, NUR, Luce, interpretata da Tiziana Fabbricini, soprano, si trova in una dimensione metafisica a dialogare con Celestino interpretato magistralmente dal baritono Paolo Coni.

 Luce, le sue nevrosi emblematiche della crisi del nostro tempo, si confrontano con il vecchio Monaco della Maiella, che diventa sulla scena Papa Celestino V e rilancia nel “perdono”  il suo  messaggio di redenzione. Gli antichi Cavalieri, che si materializzano nel personaggio di Jacques De Molay, l’ultimo Gran Maestro dei Templari, si fanno guide e coscienza critica per l’anima della protagonista nel suo percorso di ricerca verso la luce della propria coscienza.

La musica è salvifica in NUR e ci racconta la bellezza e le simmetrie dell’antica Basilica di Collemaggio a L’Aquila (quella nella quale fu celebrato Papa quel Pietro Angeleri dal Morrone, poi Celestino V). “Dai colori foschi e cupi delle prime scene, passando dalla morbidezza di un ricordo lontano evocato da una semplicissima nenia araba, fino al sollievo del primo raggio dell’alba, trova base formale in una particolare sequenza di note, una sorta di scala speculare di sette note, da DO# a DO#, interamente ricavata dai rapporti matematici interni alle geometrie costruttive della Basilica di Collemaggio, cha ha dunque pieno titolo per essere considerata un personaggio dell’opera.

Per noi che non siamo certi indenni da quei fatti,  gli anni trascorsi dal 2009 sono tornati alla mente nell’immedesimazione in quei personaggi, interpretati dai tenori David Ferri Durà e David Sotgiu, dal soprano Marta Calcaterra, e dal basso Emanuele Cordaro oltre che dal Gruppo vocale di dieci giovani cantanti dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”.

 Mentre le scene scorrono sul palcoscenico, non si può non ripensare all’Aquila, ancora semi-distrutta completamente nel suo centro storico e nelle sue Chiese, così come alle popolazioni dell’Emilia Romagna, che oggi sono ancora in parte nei campi della Protezione Civile,  nei luoghi colpiti dal recente sisma del 2012.

Quest’opera, del Maestro Marco Taralli,  è un racconto in musica di un dolore immenso che frastorna e scolvolge ma anche la rappresentazione di una spiritualità antica,  profonda e colta, che salva l’individuo dalla sua tristezza infinita, quando la notte lo raggiunge improvvisa. Nel bagliore di un futuro di fraternità, tolleranza e perdono, NUR rende omaggio alla  serenità perduta di un’antica città di pace, L’Aquila, e ci dice che la storia degli uomini non è solo fatta di segni, ma  attraverso essi si tramanda e diventa ancora di civiltà.

Questa sera, 28 luglio,  possiamo ascoltare l’Opera, su RADIO 3 RAI, in diretta alle ore 21.00.

Massimo Alesii (Giornalista -Cantiere Cultura Consulting Group)

Comunicato originale su NUR che vuol dire… LUCE. L’Aquila che vuol dire pace. su Comunicati Stampa


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