Era a getto d’inchiostro. Però l’inchiostro non era quello di marca. Era costretta ad accoppiarsi sempre con le stesse cartucce. Niente di diverso dal Botox. Solo che nella siringa c’era inchiostro. Più il numero delle stampe aumentava e più le cartucce appassivano. Ma bastava un’iniezione da dieci emmeelle e fiorivano di nuovo. Come partorite dalla casa madre. Anche la carta non era di qualità. Fogli che pesavano scarsi ottanta grammi per metro quadro. Rasposi. Da brividi al tatto. Lui preferiva fogli di peso maggiore. In carta. Lisci da fare destra sinistra che era un piacere.
Nonostante ciò non era il caso di lamentarsi. La sua generazione era stata sorpassata da tempo. Gli altri esemplari della sua serie riposavano in pace in chissà quale cimitero tecnologico. Invece lui era ancora lì a sputare fogli come un tempo. Anzi no, non proprio come un tempo. A dire il vero la vita gli era venuta un po’ a noia. Si era ingrigita. Neanche più un goccio di colore. Al massimo il grassetto. Ma erano rare le occasioni in cui sfuggiva al basso consumo della bozza.
Erano lontani i tempi in cui vomitava fiumi di poesie. In cui calendari interi di donne concedevano le loro grazie ai suoi lenti baci fotografici. E in cui batteva sudatissime ma acculturatissime carte sul cinema polacco di Andrzej Zulawski. Il suo lavoro era diventato schematico, ripetitivo. Privo di poesia, di piacere e di cultura. Di tanto in tanto una novità. Non un gossip, bensì un aggiornamento sulla carriera del suo padrone. Era arrivato a millenovecentoottantatre. Aveva tenuto il conto negli ultimi diciotto mesi. Millenovecentoottantatre cv. Ovvero curriculum vitae in formato europeo. Per un totale di seimilanovecento pagine. Ovvero di quattrocentotrenta metri quadri di carta. Non ne poteva più. Di tanto in tanto si inceppava di proposito. Altre aggiungeva credenziali a caso sul curriculum vitae del padrone. Niente, la stampa ripetitiva di cv andava avanti. Con sempre minore entusiasmo. Con sempre minore speranza.
Poi un giorno, in maniera del tutto distratta, vomitò qualcosa di diverso. Alle prime non se ne accorse perché il registro linguistico era lo stesso. Un formale burocratese di visto visto visto e gerundi; di elenchi puntati, di lì il e firma. Si trattava di un concorso. Pubblico. Un’occasione così non sarebbe ricapitata a breve. Lavoro = al diavolo la stampa dei cv. Lavoro = una nuova cartuccia, magari a colori. Lavoro = meno lavoro. Sì, il padrone avrebbe di certo stampato le sue cose in ufficio. Meno lavoro, dopo tutto se lo meritava.
Sì, ma come fare? Pulì per bene tutte le testine pur di farsi venire un’idea. Stampò un foglio di prova per mettere ordine nei pensieri. Caricò in memoria il manuale dell’utente. Ma certo. Pagina quarantuno. Stampanti in rete. Doveva senz’altro esserci in uno degli uffici di quel ministero una stampante o una fotocopiatrice che parlasse il suo stesso linguaggio di programmazione. Le aveva viste, incellofanate nella casa madre e spedite negli uffici di mezzo mondo. Se non fosse bastato mezzo mondo a salvarla, le sarebbe stata sufficiente l’altra metà della stanza.
La metà della presa elettrica.
Erano legate per la vita.
Da sempre. Una scarica.
E l’avrebbe fatta finita.
Era proprio vero. È il pensiero della morte che al fin aiuta a scrivere. Si trattava di un verso adolescenziale del suo padrone. A questo preferiva un verso che aveva stampato un tempo. “Ed è il pensiero della morte che al fin aiuta a vivere”. Sì, perché la stampante voleva ancora vivere. Trovò l’ufficio ministeriale. Nell’ufficio una fotocopiatrice di ultimissima generazione ma della sua stessa casa madre. Nella memoria della fotocopiatrice i test del concorso. Di fronte a calendari e calendari di donne nude l’ultimissima generazione divenne adulta. Io do a te, tu dai a me, ottenne i test. Si illuminò nella stanza buia. Stampò i sessanta quesiti, gli altri possibili sessanta e gli altri sessanta ancora. Il padrone si svegliò. Pensò di sognare. La stampante allora glieli sputò in faccia con tutto il fiato che aveva. Non sognava. Erano i test.
Il padrone vinse il concorso. Iniziò a lavorare. Smise di stampare cv. La prima cosa che fece con il primo stipendio? Comprò una stampante nuova e seppellì in chissà quale cimitero tecnologico la vecchia. Dopotutto, stampare cv non era così male.
di Chet
Tratto da Erano – 26 racconti per gente che fu
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