Riprendendo la lezione della Grande Depressione, Obama e Shinzo Abe cercano di innalzare la domanda aggregata e l’inflazione attraverso l’incremento dei salari. Ecco perché può funzionare.
Negli Stati Uniti è in corso uno scontro politico molto acceso tra il presidente Obama e la maggioranza repubblicana del Congresso sulla proposta di innalzamento dei salario minimo federale. Per ora il capo della Casa Bianca, con un colpo di mano, ha firmato un decreto che porta il salario minimo per i dipendenti federali a 10,10 dollari l’ora, nell’attesa di estendere la misura a tutti i lavoratori. Nel piano dei democratici è addirittura prevista l’introduzione dell’indicizzazione all’inflazione. In realtà il “pavimento” delle retribuzioni era già stato gradualmente innalzato nel 2007, 2008 e 2009, portandolo da 5,15 a 7,25 dollari/ora. L’intervento ha aumentato il salario minimo oltre l’inflazione, riportando il suo valore in termini reali ai livelli degli anni ’80.
Nulla di così rivoluzionario in realtà, se si pensa che la poverty line per una famiglia di tre persone è costantemente al di sopra del reddito annuale di un lavoratore al minimo salariale sin dagli anni ’80.
iowapolicyproject.com – fonti: U.S. Census Bureau, U.S. Department of Labor.
Sebbene lapercentuale dei lavoratori al salario minimo sia abbastanza contenuta, la speranza è che l’effetto si ripercuota sull’intero mercato del lavoro, contribuendo a invertire la caduta della quota salari in corso ormai da quattro decenni.
Ma Obama non è l’unico leader a cercare di risollevare le sorti della famiglie a basso reddito. Analoghi provvedimenti stanno per essere presi dall’altra parte del globo e da un leader tutt’altro che “di sinistra”.
In Giappone il capo del governo Shinzo Abe ha annunciato la “wage surprise”[1]. Governo, sindacati e industriali sono impegnati per dare ai lavoratori retribuzioni nominali più elevate. A prima vista una misura di giustizia sociale, dopo gli ingenti guadagni di borsa nell’ultimo anno grazie alla spinta della “Abenomics”. Ma, come vedremo, c’è molto di più.
Solo quando il collegamento da tempo interrotto tra la redditività aziendale e i salari sarà ripristinato, vi saranno investimenti in case, automobili e altri beni durevoli, e i consumi delle famiglie, in generale, finalmente libereranno il Giappone della sua deflazione e metteranno la sua economia su un sentiero di crescita sostenuta.
Ma Obama ed Abe non sono i primi ad invocare l’aumento dei salari per combattere una recessione.
Nel 1935 Franklin Delano Roosevelt, insediatosi due anni prima alla presidenza degli Stati Uniti, prese alcune coraggiose misure a favore dei sindacati attraverso il National Labor Relations Act , con l’esplicito disegno di aumentare i salari monetari, tra cui l’istituzione di un consiglio per dirimere le controversie sul lavoro e la punizione delle condotte anti-sindacali. Ma già nel 1933, con il National Recovery Act, aveva stabilito il diritto per i lavoratori di essere rappresentati dai sindacati, la proibizione dei “sindacati gialli”, finanziati dai datori di lavoro, e standard per orari e retribuzioni. Infine, nel 1938, con il Fair Labor Standards Act solidificò il salario minimo, il tetto settimanale di 44 ore e la proibizione del lavoro minorile. Il numero di iscritti alle organizzazioni sindacali salì vertiginosamente e la distribuzione del reddito mutò a favore della classe media e dei lavoratori.
Aumentare i salari funziona? Di primo acchito si potrebbe pensare che aumentare i salari induca le imprese a licenziare o almeno assumere meno lavoratori, poiché aumentano i costi. Ma vi sono varie argomentazioni che possono essere ascritte a favore dell’aumento dei salari durante una recessione. In primo luogo, l’aumento dei redditi da lavoro è uno stimolo ai consumi, come sottolinea lo stesso Shinzo Abe nell’articolo su citato. Ciò tuttavia non è scontato, poiché i lavoratori, soprattutto se indebitati, possono destinare le loro maggiori entrate al risparmio e al rimborso dei debiti. In ogni caso il sollievo della posizione debitoria può avere, in un periodo più lungo, un effetto espansivo. In secondo luogo la migliore distribuzione del reddito è un’ancora di stabilità per il sistema economico[2]. Ma forse è la sconfitta delle tendenze deflazionistiche l’obiettivo più immediato di politiche tese all’incremento dei salari monetari. Un aumento generalizzato dei salari, infatti, ha un immediato effetto sull’aumento dei prezzi, tanto più rilevante quanto più il mercato dei beni si allontana dall’ipotesi di concorrenza perfetta (non a caso Roosevelt adotto alcune misure pro-oligopolio). Un’inflazione sostenuta, e l’aspettativa di un aumento dei prezzi in futuro, agisce a favore della ripresa, da un lato riducendo l’interesse reale sui debiti pregressi e dall’altro inducendo coloro che detengono scorte liquide (moneta) a spendere subito, per evitare la svalutazione, invece che posticipare investimenti e consumi. Inoltre l’aspettativa di domanda e prezzi futuri più alti è uno stimolo all’investimento.
Non si tratta di conclusioni particolarmente eterodosse. Anche nei modelli mainstream cosiddetti “New Keynesian” (DSGE), quando un’economia è in una “trappola della liquidità” (tecnicamente a zero lower bound, cioè quando la banca centrale non può ulteriormente abbassare il tasso di interesse) uno shock negativo sul lato dell’offerta (aumento dei salari, del grado di monopolio o persino un terremoto) possono avere un effetto espansivo[3].
Note
[1] Shinzo Abe, Japan’s Coming “Wage Surprise”, Project Syndicate, 2014 : http://www.project-syndicate.org/commentary/shinzo-abe-unveils-a-concerted-effort-to-raise-japanese-workers–pay-
[2] Engelbert Stockhammer, Rising Inequality as a Root Cause of the Present Crisis, UMass WP, 2012: http://ideas.repec.org/p/uma/periwp/wp282.html
[3] Segnaliamo in proposito due paper particolarmente interessanti poiché analizzano il New Deal e le crisi più recenti
- Gauti B. Eggertsson, Was the New Deal Contractionary?, Federal Reserve Bank NY, 2006: http://ideas.repec.org/p/fip/fednsr/264.html
- Gauti Eggertsson, Paul Krugman, Debt, Deleveraging, and the Liquidity Trap, mimeo, 2010: http://ideas.repec.org/a/oup/qjecon/v127y2012i3p1469-1513.html
- Due articoli divulgativi di Paul Krugman sul paper Debt, Deleveraging, and the Liquidity Trap sono disponibili su Voxeu.org: http://www.voxeu.org/article/debt-deleveraging-and-liquidity-trap-new-model e sul sito del New York Times: http://krugman.blogs.nytimes.com/2010/11/18/debt-deleveraging-and-the-liquidity-trap/
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