Obama al New Yorker: “fumare marijuana non diverso da fumare sigarette”

Creato il 23 gennaio 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Durante una lunghissima intervista al New Yorker, Obama si è confidato col direttore del giornale, David Remnick, mostrando il volto di un uomo che si era fatto effige vivente del cambiamento, ma che non ha paura di cambiare lui stesso.

In particolare, la conversazione ha avuto spunti interessanti per quanto riguarda la recente legalizzazione delle droghe leggere in Colorado e Washington: un argomento ormai all’ordine del giorno in America, e che sta polarizzando sempre più lo scontro e la dialettica politica.

Le confessioni di Obama seguono di pari passo quella che è la weltanschaaung popolare in questo preciso momento storico. Sono pensieri di dubbio, di ripensamento, e si vede al problema con un occhio tendenzialmente favorevole, forti anche della propria ideologia professata, quella dei Democratici, da sempre fautori, se non della legalizzazione o depenalizzazione, almeno di un completo dietrofront rispetto all’assurda politica di guerra alle droghe che attualmente costa miliardi di dollari e non porta, di fatto, a nulla, se non a riempire le carceri, spesso in America gestite da privati, e dunque estremamente interessate al profitto.

“Vedo fumare marijuana come una brutta abitudine ed un vizio, non molto diverso dalle sigarette che io stesso ho fumato da giovane”. Il ripensamento di Obama è notevole, soprattutto se paragonato alle parole che lui stesso scriveva nel 2010, quando si trovava a dover redigere documenti circa il controllo nazionale delle droghe. Scriveva: “L’amministrazione si oppone fermamente alla legalizzazione della marijuna e di altre droghe illecite. Legalizzare non farebbe altro che aumentare l’accessibilità ed incoraggiare la pubblicizzazione e l’accettazione dell’uso”, e faceva seguire queste righe da altre divagazioni sui presunti effetti negativi della marijuana, in modo ben più allarmante di quanto non sia fatto dal mondo scientifico ed accademico.

Se ancora nel 2011 “L’amministrazione si oppone[va] strenuamente alla legalizzazione delle droghe”, e nel 2012 rincarava la dose dicendo che “legalizzare la marijuana non è la risposta ad alcuno dei problemi sanitari, sociali e di educazione e criminalità giovanile”, nel 2013 Obama paventava una “terza via”: “una strada che rifiuta sia l’estremo della legalizzazione, sia l’estremo di uno stato di polizia basato sulla guerra alle droghe”. Curioso, tra le altre cose, che venga citato lo Stato di Polizia da chi era stato colpito come nessun altro dallo scandalo Snowden.

Questo 2014 inizia dunque con una serie di confessioni che fanno di Obama un campione del dubbio. Nell’intervista, prosegue: “non penso sia più pericoloso dell’alcool, anzi, lo è meno riguardo al suo impatto sul singolo consumatore”. Segue a descrivere una situazione a lui molto cara, e cioè il problema razziale che scaturisce dalla guerra alle droghe: le sanzioni più severe, ed il carcere perfino, sono provvedimenti riservati, secondo Obama, in larghissima parte ai meno abbienti, mentre la “middle-class” se la cava con un mero avvertimento o con una sanzione amministrativa. E poiché la realtà Americana vuole che i meno abbienti siano spesso Afro-Americani o immigrati Latini, continua il Presidente, ecco servito il problema razziale.

Obama affronta tutta una serie di tematiche, ma non è il primo a farlo. E’ bene considerare che l’opinione pubblica è già mutata da tempo, e se è possibilissimo che il Presidente abbia cambiato idea nella sua interna coscienza, è ancora più probabile che questo “change” sia stato alimentato da fuochi esterni, e cioè, la necessità di restare popolare per tre anni ancora. Obama non potrà venire rieletto, ma come ogni politico tende a guardare a sé stesso e al suo partito: egli porta e riceve cambiamento in un continuo mutare di posizioni, e questa della marijuana non è che l’ultimo di altri esempi che si potrebbero portare, come sulle nozze omosessuali, la guerra in Iraq, lo scandalo Snowden/NSA. In questo turbinio di tensioni tra essere e dover essere Obama appare comunque un unicum: un capo di Stato in grado di capire rapidamente il “cambiamento”, e di sfruttarlo, come, con risultati altalenanti, fa dal 2008.


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