Oblivion, USA, 2013, 126 min.
Ed eccoci qua, un altro film di fantascienza con un budget bello sostanzioso dal regista dell’incompiuto Tron – Legacy e la presenza – ingombrante come sempre – dell’eterno Tom Cruise. Kosinski però, a due anni di distanza dalla sua opera prima, riconferma pregi e difetti del suo stile, con un talento visivo che lascia spesso a bocca aperta e problemi palesi a gestire le parti narrative e la costruzione dei personaggi.
Il contesto è quello da mondo post-apocalittico come piace tanto a me: gli alieni hanno distrutto parte della luna e invaso la Terra, gli umani hanno vinto la guerra ma, a causa degli sconvolgimenti climatici, si sono dovuti trasferire su Titano. Sulla Terra sono rimasti Jack (Tom Cruise) e Victoria (Andrea Riseborough) che curano la manutenzione dei droni e delle trivelle, utili ad estrarre le risorse del pianeta per alimentare i coloni. I due sono coordinati da un comando generale chiamato TET che staziona fuori dall’orbita terrestre. Jack funge inoltre da guardiano dovendo proteggere le strutture terrestri dagli attacchi degli Scavengers, gli alieni rimasti sul pianeta. Le cose per Jack si faranno confuse quando inizierà ad avere dei flash di una misteriosa donna (Olga Kurylenko) appartenente a un passato che non ricorda…
Iniziamo dagli aspetti positivi che risaltano già dalle immagini promozionali del film (pensate al fotogramma accanto in movimento e su schermo gigante): design, scenografie ed effetti speciali. Un mondo vuoto che ricorda quello di Wall-e e de Il pianeta delle scimmie, con i suggestivi ruderi di una New York – tra stadio di football, biblioteca nazionale ed Empire State Building – nella quale il protagonista sfreccia solitario con il suo veicolo volante o, a terra, con una moto. L’immersione dello spettatore in questo paesaggio è totale e, al cinema, estremamente coinvolgente, ritrovandosi stupiti più d’una volta ad ammirare gli scorci naturali e la commistione con le futuristiche costruzioni umane (chiari i riferimenti al design di Syd Mead); il tutto animato da una computer grafica decisamente all’altezza tra esplosioni nucleari e voli nei canyon. Il talento visivo di Joseph Kosinski, già palesato in Tron Legacy, si riconferma in pieno dando vita a scene dall’innegabile fascino estetico; una su tutte il bagno notturno nella piscina sospesa nel vuoto. Si riconferma anche la capacità del regista di scegliere musiche che si adattano perfettamente al mood della pellicola: se in Tron i Daft Punk riuscivano a fornire quel quid che elevava la già alta qualità delle immagini, qui sono gli M83 a curare un comparto sonoro di grande qualità.
Fino a qui, quindi, sembrerebbe uno di quei filmoni che gli amanti del genere definirebbero imprescindibile; purtroppo per Kosinski c’è anche una storia da raccontare e allora iniziano i dolori. Come è stato fatto notare da più parti la sceneggiatura butta nel calderone una serie di temi e suggestioni largamente riprese da tutta la fantascienza prodotta dagli anni ’70 in poi, con soluzioni che citano/plagiano senza soluzione di continuità il già citato Il pianeta delle scimmie, Star Wars (come nella scena del fotogramma accanto), 2001 Odissea nello spazio, Atto di forza, Indipendence Day e fascinazioni filosofico/esistenziali tratte da Solaris, Matrix, Blade Runner fino al recentissimo Moon. Questo fa sì che la trama, comunque non semplice e che non lesina i colpi di scena, risulti ampiamente prevedibile, facendo calare il coinvolgimento emotivo a livelli piuttosto bassi. La sceneggiatura utilizza poi alcune soluzioni ingenue, molto anni ’90 direi, ed è colpevole di due-tre cadute di tono – verso il tamarro – decisamente fuori luogo; evidentemente Cruise pensava di essere ancora sul set di Mission Impossible.
A proposito, capitolo attori: sarà che sono sempre più intollerante al doppiaggio ma non mi è piaciuto quasi nessuno in questo film. Cruise è da trattare a parte: è noto che l’intrusione del nostro nella produzione dei film a cui partecipa è forte a dir poco. D’altronde appare in quasi ogni scena e, come vuole il suo personaggio, salta, spara, guida aerei e moto, è nobile d’animo, si innamora, salva il mondo, e, insomma fa il Tom Cruise che ci crede davvero e si prende fin troppo sul serio. Olga Kurylenko appare ancora acerba e poco espressiva (nonostante l’avessi apprezzata molto in To the Wonder, ma lì c’è il tocco di Malick probabilmente), Morgan Freeman ormai fa sempre se stesso e recita col pilota automatico, gli altri fanno comparsate ininfluenti. Chi ne esce vincitrice, nella mia opinione, è l’inglese Andrea Riseborough (che ha una ventina di titoli alle spalle, ma che non avevo mai visto), brava a tratteggiare un personaggio composto e ligio al dovere, di cui riesce a far emergere anche aspetti fragili ed ambigui.
Tirando le fila del discorso: il talento di Kosinski non si discute, ma dovrebbe trovarsi dei bravi sceneggiatori e maturare sotto l’aspetto narrativo, poi forse potremmo parlare di un ottimo regista da blockbuster. Oblivion, comunque, meriterebbe la visione al cinema dove il suo impatto visivo trova naturale esaltazione.
EDA