Repubblica Ceca, Trutnov (il festival s’è svolto nei giorni 11, 12, 13 e 14 luglio).
Nell’organizzazione di un concerto un fattore spesso determinante nella buona riuscita del lavoro è la cosiddetta “situazione”. Sebbene non tutti i promoter se ne rendano conto, sempre più gente fa anche diversi chilometri di strada non tanto per vedere un gruppo piuttosto che un altro, ma per l’ambiente che viene a crearsi durante l’intera serata, per un’atmosfera particolare che solo una determinata location in certe condizioni ambientali può garantire, lasciando segni anche indelebili nei ricordi degli spettatori. L’Obscene Extreme è soprattutto questo: tre giorni di musica estrema tra i boschi, un palco di media grandezza ma ai piedi di una discesa che poi viene a formare un anfiteatro naturale, birra a prezzi stracciati, tonnellate di dischi e tanta, tanta allegria. Mai visto un segno di malumore in quattro anni di presenza, al di là del tasso alcolico regnano la pace e la convivenza reciproca tra compagni di viaggio e sconosciuti appena incontrati in giro per l’area del festival. L’Obscene Extreme è sempre di più una “situazione” unica, difficile da dimenticare, che spinge chiunque ci vada per la prima volta a tornarci gli anni successivi. Il fattore musicale spesso cade in secondo piano, e anche quest’anno in molti sono venuti quasi unicamente per staccare dalla vita di tutti i giorni e immergersi in queste giornate di delirio alcolico e di estremismi sonori di varia natura. Quelli che come me sono ormai “veterani” del festival non hanno però potuto non fare il confronto con gli anni precedenti, ora andremo a vedere il perché.
Obscene Extreme – giorno 1 (giovedì 12 luglio)
Il giovedì per me e il mio compagno di viaggio inizia presto, dopo due giorni spesi a girare per Praga, l’ultimo dei quali finito in bellezza al pre-festival organizzato da Karel degli Onanizer al Modra Vopice, lo stesso locale dove ogni anno fanno il Fekal Party. A suonare erano sei gruppi che avrebbero calcato il palco di Trutnov, ossia Tools Of The Trade, Sakatat, Wojczech, Weekend Nachos, FUBAR e Plague Rages. Mi sveglio in ostello con la memoria ancora volta a mercoledì sera, quando ho duettato con i Weekend Nachos nella parte con la voce pulita di “Jock Powerviolence” (da annoverarsi tra i migliori momenti del 2012). Bisogna però alzarsi e dirigersi di corsa verso la stazione dei pullman, onde evitare di perdere i posti migliori nel campeggio del festival. Verso mezzogiorno arriviamo un po’ stanchi ma belli carichi per goderci tre giorni di degrado psicofisico e morale. Purtroppo per noi questa prima giornata nel complesso è poco invitante, e i gruppi che attendiamo di più suoneranno venerdì e sabato. Si inizia alla grande con i cechi Gutalax, uno dei pochi gruppi porngrind ancora rispettabili in circolazione. Di per sé non hanno niente di particolare, solite sonorità groovy che trovi in altre 8000 formazioni, ma con un cantato veramente sui generis. Al posto del normale pigsqueal di diverse band locali il frontman tira fuori una voce veramente unica, più vicina a una rana che a un lavandino otturato o a un maiale sgozzato… Il pubblico già balla, si vedono i primi travestiti che si lanciano dal palco, il cantante spara anche due bestemmie in italiano, l’allegria sembra essere già di casa. Purtroppo per noi, arrivano già da subito le prime nuvole e un’ora dopo la fine della loro performance scende giù un acquazzone che in molti soffriremo. Gli anni scorsi c’era stata poca pioggia e sempre verso la fine del Fest, ma quest’arrivo improvviso ci fa scendere un po’ il morale e optiamo per un primo acquisto alle distro e per un rifugio immediato (e, ahimè, prolungato) al beer tent. Iniziare così non è proprio il massimo, però per mia fortuna nessun gruppo che aspettavo con ansia calcherà i palchi questo giovedì, quindi mi rintano in allegria sotto il tendone, assieme ad altri amici incontrati là. Alle sei meno un quarto riesco fuori per rivedermi gli Eardelete: la prima volta che li vidi fu nel corso dell’edizione 2010 e – sebbene il diluvio sia tutt’altro che finito – lo show risulta migliore rispetto a quello di 2 anni fa. Il loro grind quasi sperimentale, con accenni al gore della migliore scuola est-europea, mi convince anche da bagnato fradicio: nonostante questo, infatti, inizio con grande gioia a lanciarmi dal palco, sfidando la tempesta e il fango formatosi in quantità industriali. I Von Boom, che vengono dopo gli Eardelete, non m’interessano, torno a ripararmi al coperto per qualche altra birra, in attesa dell’arrivo dei Jig-Ai. Il terzetto gioca in casa e sa quello che gli aspetta: un tripudio di fango, stagediving, balli e pogo furioso. Il goregrind dei Jig-Ai, a volte veloce e pieno di blastbeats, altre carico di groove, è una sonorità più che amata qua a Trutnov, e gli spettatori sono tantissimi, seppur bagnati e già sporchi di fango da far schifo. Anche in questo caso, la band mi convince di più oggi che la prima volta che l’ho vista, tre anni fa (ironia della sorte, sempre sotto il diluvio universale). Il pubblico è in delirio, e per il momento sembrano essere il gruppo più apprezzato dall’inizio del festival. Finito il loro show vengo però colto da un malumore, condiviso anche da molti altri presenti. Questo tempaccio rende ancora meno invitante la giornata, quindi, anche se non mi sarei andato a vedere Splitter e Malignancy nemmeno col sole, rimanere sotto il tendone inizia a pesarmi non poco e anche i miei amici sembrano abbastanza scontenti della cosa. Sebbene non sia un loro grande fan, la pioggia sembra finita e mi reco abbastanza volentieri allo show dei Wolfbrigade. Anni fa li ascoltavo abbastanza, ma ora il neocrust mi ha veramente stancato. Sapere che l’ultima volta che ero salito a Trutnov a quest’ora sul palco c’erano i General Surgery non mi rende certo felice. Loro però sembrano veramente in ottima forma, la scaletta è ben bilanciata tra pezzi vecchi e nuovi, e tutti sembrano veramente soddisfatti dalla loro performance. Chiusura col botto con “In Darkness You Feel No Regrets” e “Outlaw Vagabond”, e poi tutti i punk e i crusters dritti verso altrettante birre in giro. Io però rimango sottopalco per vedermi l’ultimo concerto interessante, quello dei Suffocation. Non li ascolto più tanto da anni, ma “Effigy Of The Forgotten” mi è sempre piaciuto veramente molto, in più le due volte scorse che li vidi suonarono veramente da Dio. In quest’occasione, però, non ci sono né Frank Mullen né Mike Smith dietro alle pelli. A sostituire il singer pelato c’è Bill Robinson dei Decrepit Birth, gruppo che non riesco proprio a tollerare. Sebbene queste due assenze lascino molti dubbi iniziali, il quintetto americano è veramente in ottima forma e porta con onore quel grande nome che lo ha ormai definitivamente proiettato nell’olimpo del death metal. Grandi classici come “Catatonia”, “Pierced From Within”, “Liege Of Inveracity”, l’inaspettata “Mass Obliteration” e la conclusiva “Infecting The Crypts” vengono eseguiti con estrema foga e professionalità, e questo “nuovo” cantante (sostituto solo provvisorio) non fa rimpiangere neanche per un secondo l’originale. Finalmente mi sento revitalizzato, contento di risentire live dei pezzi che mi sono sempre rimasti nel cuore. La mia giornata finisce in gloria con loro, mi butto in tenda distrutto, neanche vagamente interessato ai seguenti Cephalic Carnage e Origin: il motivo è semplice, il primo è un gruppo finito, ormai ombra di se stesso, il secondo lo ritengo da anni una vera e propria piaga per la società occidentale.
Obscene Extreme – giorno 2 (venerdì)
Quel maltempo che fino a ieri ho detestato si rivela positivo: non piove più, ma non c’è neanche quel caldo cocente che ti fa uscire fuori dalla tenda alle 8 del mattino. Mi sveglio dopo un sonno di quasi dieci ore verso le dieci e mezzo, con entrambe le gambe piene di fango, ma con un umore decisamente positivo. In testa ho due cose: il cibo e i dischi. Purtroppo per me il prezzo dei viveri è molto aumentato, sebbene la qualità sia rimasta invariata. Ma gli stand sono pieni zeppi di vinili e cd che non aspettano altro che il mio denaro. Per la prima volta, dopo avergli lasciato 55 euro in meno di un quarto d’ora il giorno precedente, decido oggi di applicare il metodo “salta un pasto, compra un 7” in più”. Come tutti i fan del grind/fast/hc che si rispettino, sono malato di 7’’ (e del vinile in generale) e mi getto a spulciare pazientemente ciò che gli stand mi offrono. Oggi la musica è partita alle dieci, ma salto le prime sette band e mi dirigo sotto il palco verso le due e mezzo. A suonare sono i Sakatat, uno dei migliori gruppi grindcore in circolazione, freschi del primo lp sotto Bringer Of Gore Records. Se mercoledì mi avevano convinto pienamente, anche oggi il loro concerto è veramente ottimo, rumoroso, pieno di feedback tra un pezzo e l’altro, e con una bella nota sbarrata che copre parzialmente il logo dell’Obscene Extreme sullo sfondo. Quindici minuti sparati a livelli supersonici, che confermano il talento del gruppo turco, tra i gruppi più interessanti usciti da cinque anni a questa parte in ambito DIY. Dopo di loro ci sono gli M:40, che vedo per una decina di minuti. Il loro crust melodico misto al grind moderno degli ultimi Nasum mi annoia non poco. Mi allontano per un caffè pomeridiano, incuriosito più dalla qualità dell’espresso ceco che dal resto del loro concerto. I Wojczech due giorni prima mi avevano convinto a metà, e la pausa al bar si prolunga ulteriormente. Esco però di corsa verso le quattro, perché sul palco stanno per salire i Weekend Nachos. Sono un gruppo che amo molto, e il loro ultimo lp, Worthless, è secondo me il miglior disco uscito l’anno scorso. Forti di un nuovo split 7” coi Lack Of Interest (dal quale suoneranno un pezzo solo), il loro powerviolence granitico e dai marcati toni sludge fa la mia felicità anche in questa sede. Se inizialmente ci sono pochi spettatori, quasi subito si scatenano un mosh furioso e uno stagediving forsennato, due momenti che mi vedono sempre partecipe in prima persona. La loro setlist è sostanzialmente quella del tour scorso e logicamente di due giorni fa. “Shot To The Head”, “Hometown Hero”, “Black Earth”, “Frostbitten” e “Jock Powerviolence” mi rendono, in questa sede, una persona decisamente realizzata. Averli visti quattro volte nel giro di neanche un anno (contando entrambe le date italiane che fecero nel 2011) è stato un colpo molto grosso. Dopo di loro salto i Keitzer e ritorno per gli Spasm. Su di loro il discorso è più o meno quello fatto per i Gutalax: la gente è ancora più in tripudio che per i loro connazionali, ma a me il terzetto goregrind non dice molto. Ne ho abbastanza di sentire quelle sonorità trite e ritrite, con i soliti 6-7 travestiti a ballare sul palco. Nonostante siano una delle poche band decenti rimaste, sono molto contento che ormai, da quanto sembra, il pornogrind non vada più tanto di moda. Quando c’è più ironia che musica, significa che è il momento di porre fine ad un genere che da quasi dieci anni non ha più niente da dire. I Leng Tch’e preferisco evitarli, visti gli ultimi dischi, al limite del ridicolo, preferendo gli storici Demisor. Sono in giro dal 1987, ma questo è il loro primo tour europeo: si tratta di un nome conosciutissimo e sono in molti a vederli suonare, ma va detto che negli anni d’oro del genere in giro c’era molto, molto di meglio, e la reazione del pubblico, seppur positiva, non è molto partecipativa. Storia totalmente diversa per i Wormrot: anche loro da Singapore, come i precedenti, tirano fuori cannonate grind a livelli paurosi. È la loro seconda volta a questo festival, ma le cose sono di gran lunga cambiate, e in meglio. Nell’edizione del 2009, pur con un esordio di fuoco su TVG, erano ancora poco conosciuti, ma il loro concerto fu il migliore tra quelli dei gruppi “esordienti” in quell’anno. In quest’occasione, si trovano davanti la folla e uno stagediving continuo e impetuoso. Vengono accolti come degli eroi e ricambiano con uno show mozzafiato, velocissimo, che non risparmia nessuno. Sono molto contento di aver visto questo gruppo crescere: dal primo tour europeo fino al contratto Earache e al successo conseguito grazie a esso. Ho avuto inoltre il piacere di suonarci assieme coi Compost due anni fa. Anche i successivi Benighted non riescono a privarmi di una pausa al beer tent, così torno sottopalco durante i Discharge. Le mie aspettative a riguardo non erano alte, e infatti quello che vedo non è certo uno show all’altezza del loro nome, ma semplicemente un concerto nella media nel quale vengono suonati dei grandi classici che quasi tutti conoscono molto bene. Devo ammettere però di aver seguito il tutto più che distrattamente, dato che, dopo due giorni al risparmio, fatti da pasti a base di spaghetti cinesi con verdure e scatolette di tonno, anche il mio intestino vuole la sua parte e mi rintano (assai tristemente) nell’oscurità dei cessi chimici, beccandone uno anche abbastanza presentabile. Grazie a quel prodigio della tecnica che sono le salviettine mi diletto nel pulire un po’ la struttura e improvviso anche un copriwater. Curioso pensare che mentre suona il gruppo simbolo della lotta all’igiene personale io invece mi stia ingegnando per difenderla a oltranza. Terminata la loro esibizione, vago senza meta nell’area del festival: un po’ al grind market, un po’ nel tendone della birra e un po’ vicino al palco per dare un’occhiata ai Nasum. Ho avuto la sfortuna di vederli a Roma, quando scesero con i Wormrot lo scorso 21 giugno. Ero sicuro che questi ultimi avrebbero fatto mangiar loro la polvere, e così è stato pure qua: il quartetto (ora quintetto, con Keijo dei Rotten Sound alla voce) è sempre stato il simbolo dei peggiori modernismi e dei suoni di plastica che hanno reso il grind moderno una noia mortale. I Nasum non si smentiscono nemmeno in questa sede: la scaletta presenta pochi pezzi da Inhale/Exhale, ha quasi tutta roba dei dischi successivi, e il sound rasenta spesso un metalcore più che patetico. Il pubblico è – ahimè – in delirio, ma io qua mi sento di citare gli Skiantos: “Voglion tutti i cantautori, come fanno i rematori”, solo che al posto di Guccini, De Andrè e compagnia bella qua c’è il gruppo di Örebro. Sono difatti in molti – come scrivevo in apertura – quelli venuti a Trutnov più per l’atmosfera che per altro, tanto che poi si esaltano senza vergogna durante i gruppi peggiori di quest’edizione (vale anche pergli anni scorsi). Oltretutto gli Exhumednon suonano più per problemi di famiglia di uno di loro, così mi tocca rimanere a zonzo ancora più tempo, visto che di vedermi i Vomitory non ho voglia, non solo perché non ne vado matto, ma anche per il fatto che subito dopo di loro mi attendono quattro gruppi imperdibili. I primi sono i Fubar: già visti al Modra Vopice, il loro show è ottimo esattamente quanto quello di mercoledì scorso. Dopo di loro vengono i nostrani Vulvectomy: il terzetto brutal-slam ci regala venti minuti di massacro, con un pubblico veramente entusiasta, sia sul palco che dalle panchine sulla collinetta (quella discesa di cui parlavo sempre all’inizio). Ero sicuro che avrebbero ottenuto un buon riscontro, ma in questa maniera non credevo! Finalmente però è il turno di uno dei gruppi per i quali ho deciso di tornare all’Obscene: i Coke Bust. Molto poco conosciuto nel nostro paese, il gruppo fastcore americano ha conquistato i cuori di molti appassionati in patria, forte anche di Chris Moore dei Magrudergrind alla batteria. Venti minuti di energia, velocità, intensità e calci in bocca sono ciò che il quartetto ci regala. Mi esalto talmente tanto da non potermi trattenere da uno stagediving furioso e compulsivo, e mi commuovo vedendo che nonostante si siano fatte le due di notte ancora in moltissimi siano svegli e reagiscano alla mia stessa maniera. Sorte diversa toccherà ai Repuked: si sono fatte le due e quaranta, c’è poca gente (cento persone scarse) e nascono anche dei problemi con i suoni. Non so se per rabbia o per altro, il bassista a fine concerto spacca il suo basso, mandando tutti in tenda a riposare.
Obscene Extreme – giorno 3 (sabato)
Esattamente come venerdì, il tempo fa schifo ma in tenda si sta bene. Colazione, altro giro alle distro e si parte a mezzogiorno con i Carnal Diafragma. Il loro goregrind non mi è mai dispiaciuto: sebbene non siano mai stati trai campioni del genere sono sempre stati un gruppo onesto e personale. Resta il fatto che non hanno mai registrato roba in grado di brillare di luce propria e anche il loro live alla fine si rivela nient’altro che un adeguato buongiorno, ma nulla più di questo. Qualche ora dopo è il turno dei Sanitys Dawn. Quattro anni fa consumai il loro split 12” con gli Yacopsae, e sapere che entrambi suonano lo stesso giorno, sebbene a orari molto diversi, mi rende molto allegro. Nonostante il materiale proposto sia soprattutto roba molto recente, assisto con estremo piacere al loro concerto. Subito dopo salgono i Blood I Bleed, quartetto thrashcore che mi persi nel 2008, alla mia prima partecipazione. Non li conoscevo e non ne ero granché interessato, ma dopo averli sentiti diversi mesi più tardi, mi pentii amaramente di averli saltati. Per fortuna sono stati confermati quest’anno, dunque riesco a beccarmi con estrema gioia una mezzora di ottimo hc veloce, con qualche blastbeat e voce stridula e urlata. Verso la fine piazzano anche due cover, una dei S.O.B e un’altra degli Heresy, cosa chiedere di più? Nel frattempo noto quel po’ di sole che ogni tanto esce fuori tra le nuvole: quest’oggi per nostra fortuna cadrà giusto qualche goccia, e per diverse ore ci sarà bel tempo, senza quel caldo atroce che caratterizzava le giornate migliori degli anni scorsi. Qualche ora dopo è la volta dei Dead. Il gruppo death metal tedesco, spesso troppo sottovalutato, ci regala una performance cristallina, sebbene io continui ad avere in testa quella del 2008, durante la quale venne lanciato un gigantesco pallone della coca-cola, e tutto il Fest giocò a lanciarselo sguazzando allegramente nel fango. I Sublime Cadaveric Decomposition non suonano per problemi del batterista, tornano sul palco i Jig-Ai e bissano quanto fatto due giorni fa. Salto gli Internal Suffering, gli Extinction Of Mankind li seguo un po’ distrattamente, attendendo con ansia i Looking For An Answer. Il gruppo spagnolo, composto in parte di ex membri dei grandissimi Denak, live ha un sound molto più vicino alla propria componente death che a quella grind, così che ricorda spesso i connazionali Machetazo. Il live è una vera e propria cannonata, che finisce in gloria con un’ inaspettata cover di “Missing Link” dei Napalm Death. I successivi Houwitser non reggono minimamente il confronto, e nel frattempo in molti cresce l’attesa per i Blood. Ormai dediti a concerti sporadici, tornano sul palco dell’Obscene Extreme dopo 8 lunghi anni. Presentati come “le leggende dell’underground tedesco”, non sembrano però così in forma: sono evidentemente invecchiati, propongono roba troppo recente, suonata molto più veloce che su disco. Il sound grezzo delle chitarre c’è, ma la voce spesso cade in un pigsqueal francamente evitabile. Classici come “Dogmatized” o “Insomnia”, sebbene mi spingano a fare stagediving, lasciano molto l’amaro in bocca. In pochi rimangono soddisfatti, la delusione è manifesta in molti altri. Per fortuna, un’ora dopo arrivano dei veri pesi massimi della musica estrema, una delle poche reunion riuscite: gli Asphyx. Il quartetto, capitanato da Martin Van Drunen, parte subito con “Vermin” e si sente immediatamente a suo agio, con un pubblico incredibilmente in delirio. Se i Blood avevano puntato sulla velocità, i quattro olandesi puntano sulla lentezza decadente dei loro pezzi migliori. Capolavori come “Wasteland Of Terror” o la conclusiva “The Rack” vengono accolti con estrema gioia da una folla sconfinata. I commenti post-concerto sono molto positivi, quasi tutti concordano nel ritenere il loro show il migliore di tutto il festival. Anche io rimango veramente estasiato da cotanta grandezza, ma la mia attenzione ora è tutta per i successivi Yacopsae. Poco prima che salissero sul palco iniziavo ad accusare la stanchezza di tre giorni di delirio e rumorismi vari, poi parte una scarica di turbo speed powerviolence e tutto cambia. Sono sincero, non ho mai visto un gruppo suonare così preciso e veloce: sono esattamente come su disco. Per la prima volta, dopo anni di concerti estremi, mi trovo davanti l’unico gruppo che definirei con questa parola: macchine. Non sono affatto dei ventenni, eppure suonano molto meglio del 99% dei miei coetanei. Perfino su “Frost” riescono a non commettere alcuna sbavatura, tra riff pulito e seguente mazzata velocissima. In finale piazzano “Gift”, una mazzata sludge molto vicina anche ai primi Swans, che dimostra come il terzetto tedesco sia di una violenza estrema anche quando si tratta di andare dannatamente lenti. Il pubblico richiede un bis, e loro ricambiano con altri 4-5 pezzi uno più veloce dell’altro. Io ne esco stordito ma felice: aggiungiamoci anche che durante lo stagediving mi becco un anfibiata da uno che si stava lanciando dal palco proprio mentre io salivo. Questo ovviamente non mi ha fermato, ma anzi, mi ha motivato a continuare sempre di più. Mi sento a questo punto arrivato al capolinea, mi butto su una panchina a gustarmi i Poison Idea che danno il meglio on stage. Il pensiero però è ancora volto agli Yacopsae: mazzate di questo genere non si dimenticano facilmente, ora mi attende solo un breve riposo in tenda e poi un’alzataccia alle sei per ritornare prima a Praga col pullman e poi da lì con l’aereo fino a Roma.
Conclusione
Anche se ci sei già stato, un’ esperienza del genere ti lascia sempre quei due giorni buoni di distruzione fisica addosso. Potrai sperar solo che sia di minore intensità rispetto agli anni precedenti, ma è impossibile non tornare a casa con quel misto di felicità e di devastazione interna che solo Trutnov ti sa regalare. Tante birre, tanti dischi, tanto rumore e nessun dispiacere. Questa volte però, è bene fare delle precisazioni: il festival è, per certi versi, molto cambiato. Fino a qualche anno fa era l’evento grindcore dell’anno, amato dai moltissimi appassionati ma snobbato da tantissimi altri, il che rendeva il tutto molto più intimo. Il brutal e il death metal erano componenti fortemente minoritarie, mentre ora sempre più fan di questi generi accorrono nella piccola cittadina ceca. Il bill era molto più corposo, i nomi su cui puntare erano molti di più, mentre quest’anno il tutto (non solo per me) si reggeva su quei massimo dieci gruppi che ti avevano spinto a compiere l’impresa. I “minori” sono risultati quasi tutti veramente banali. I prezzi del cibo sono aumentati, e mai gli anni scorsi ricordo di aver quasi patito la fame. I vincitori sono stati quelli che mi aspettavo, ossia Sakatat, Weekend Nachos, Wormrot, Coke Bust, Asphyx e Yacopsae, tutte le altre performance vengono dopo. Nel complesso, l’Obscene Extreme rimane ancora un evento unico e irripetibile in altre parti del pianeta, ma musicalmente parlando, non regge il confronto con le edizioni passate. Di sicuro, il prossimo anno, se il bill sarà così, ci si penserà due volte prima di tornare. In ogni caso, ci sarà comunque qualcosa che ci farà rientrare a casa soddisfatti dell’esperienza, e che probabilmente ci farà mancare Trutnov per il resto dell’anno.