Mario Luzi sperò ardentemente che gli venisse assegnato il Premio Nobel per la letteratura: anche troppo sperò, in modo forse poco elegante, e se ne ebbe a male quando l’ambito alloro scese sulla fronte di Dario Fo. Mario Luzi è stato un poeta sublime, degno di stare accanto a Ungaretti, Saba e Montale, tanto per ricordare la triade dei massimi poeti del Novecento; vi voglio solo ricordare i bellissimi titoli di alcune sue raccolte di versi: “Su fondamenti invisibli”, “Per il battesimo dei nostri frammenti”, “Frasi e incisi di un canto salutare”: già queste poche parole fanno capire quale universo misterioso la poesia di Luzi arriva a toccare e a benedire.Nel passaggio nel nuovo millennio, Mario Luzi scrisse la poesia che ora vi voglio far leggere. Era già vecchio, stanco, la sua ispirazione era molto più flebile, e dunque questa poesia non è particolarmente significativa da un punto di vista letterario. Non ci sono immagini memorabili, non c’è la musica profonda e universale che esce quasi sempre dai versi di Luzi. Però questa poesia ci dice qualcosa di importante. Ci ricorda che dobbiamo attenerci all’essenziale, che dobbiamo lasciar alle spalle le parole fumose, inutili, chiassose del nostro tempo, che dobbiamo permettere al fiore di fiorire, e per questo bisogna fargli spazio, spazzare via il superfluo, che è tanto, che è troppo. Less is more, dicono gli americani. Il meno è il più. La decrescita responsabile, augurano i sociologi più attenti.Siamo ingolfati, sommersi, schiantati dal peso delle sciocchezze. Torniamo al cuore del problema. Andiamo verso il centro, il nocciolo: nel percorso troveremo tanta bella gente che vuole iniziare una vita nuova. Anche i miei studenti cominciano a essere stufi delle immagini vomitate dal televisore, delle menzogne della pubblicità, dell’ingordigia del nostro tempo povero eppure così bulimico. Torniamo al pane e all’olio, ai discorsi semplici e necessari, alla bellezza che è sempre semplice, dice Luzi: e noi lo stiamo ad ascoltare con attenzione.Vorrei arrivare al varco con pochi essenziali bagagli,
liberato da molti inutili, inerziali pesi e zavorre
di cui l’epoca tragica e fatua
ci ha sovraccaricato, noi uomini.
E vorrei passare questa soglia
Sostenuto da poche,
sostanziali acquisizioni di scienza e pensiero
e dalle immagini irrevocabili per intensità e bellezza
che sono rimaste
come retaggio.
Occorre credo una catarsi,
una specie di rogo purificatorio
del vaniloquio
cui ci siamo abbandonati
e del quale ci siamo compiaciuti.
Il bulbo della speranza
che ora è occultato sotto il suolo
ingombro di macerie
non muoia,
in attesa di fiorire alla prima primavera.
28 marzo 2011