Giuditta Naselli. “Ho visto tipi come te schiacciati da gente che non ha mai avuto problemi e alla fine si sono montati tutti la testa. La prima cosa che capita ad uno come te è che vuole andare a cena nei ristoranti e sedersi a un tavolo e mangiare insalate e pasticcini…e non sai quanto male può farti quella roba…e poi si passa a pretendere una stanza! Sissignore, una stanza ben riscaldata, con le tende alle finestre… e in men che non si dica sei così rammollito che non dormi se non hai un letto. Ho visto tanta gente cominciare con meno di cinquanta dollari e finire con un conto in banca. Posso giuranti, Long John, che quando sei arrivato a d avere un conto in banca ti hanno in pugno. Sissignore, ti hanno in pugno”.
Già, tempo fa, in una severa macchina industriale, come quella cinematografica hollywoodiana, un patriottico regista, dal nome Frank Capra, gira film conosciuti e amati per il loro fervore rivoluzionario e per l’amore per un paese edificato dalla piccola gente. Il regista può essere considerato il tipico uomo roosveltiano degli anni Trenta e Quaranta che crede profondamente nel suo paese e nella comunità americana. I suoi film, pervasi da un ottimismo commovente e utopico, non scadono mai nella mediocrità. Nessuna ovvietà e apologia della convenzione per pellicole che raccontano storie che accomunano ognuno essere umano, tanto che, dalla prima inquadratura, sembrano intonare “Once upon a time”.
Il protagonista, interpretato da un affascinante Gary Cooper, assume il ruolo di John Doe, un uomo senza dollaro e dimora, che per amore di una donna (la bellissima Barbara Stanwyck) diventa burattino nelle mani di un potere che si appropria della sua esistenza attribuendogli un nuovo nome.
Chi è allora John Doe?
John Doe è un nome che, nel gergo giuridico statunitense, veniva utilizzato per definire colui di cui andava mantenuta incolume l’identità. Nel corso del tempo il nome è entrato nella cultura popolare americana diventando figlio del milite ignoto e identificandosi con coloro le cui generalità sono sconosciute. Ma la verità è quanti John Doe conosciamo? E non siamo anche noi dei John/Jane Doe? Coloro che hanno inaugurato la primavera araba occupando luoghi di culto e deponendo, con lacrime e sangue, tiranni e che hanno incoraggiato intere generazioni americane ed europee a scioperare davanti ai centri della finanza, prima di essere accomunati dalla stessa disapprovazione nei confronti di un potere becero e meschino, non condividevano lo stesso nome, John Doe?
Come settant’anni fa anche oggi dovremmo leggere e abbracciare il pensiero trascendentalista del filosofo Thoreau che nel rapporto viscerale con la natura aveva ritrovato l’essenza umana o forse ci basterebbe solo guardare Frank Capra e ascoltare le parole di Walter Brennan quando spiega ad una comparsa chi sono gli “iloti” e perché bisogna averne paura.
Oggi Occupy Wall Street è impegnata a combattere quegli stessi iloti di cui parla Frank Capra in una battaglia che ha come fronti due Americhe, una oligarchica, elitaria, privilegiata, l’altra democratica, liberale, progressista. Ma a differenza delle parole del regista, ormai impresse nell’immaginario collettivo, il movimento di Occupy Wall Street è destinato a fallire, in quanto nella sua denuncia, rifiuta qualsiasi tipo di mediazione. Non accettando un rapporto con le istituzioni, gli indignati americani sono destinati al silenzio perché fautori di una politica della testimonianza, piuttosto che della rappresentanza. Se non scenderanno a patti con le istituzioni e non cercheranno di sovvertire il sistema dall’interno sarà impossibile effettuare quel cambiamento tanto auspicato e concludere la protesta con quell’happy ending, per cui era famoso Frank Capra.