L’atto fondante della tradizione della lirica soggettivistica occidentale è il libellum di Gaio Valerio Catullo. Al centro ideale del primo canzoniere sta la folgorazione di questo distico elegiaco:
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e pur amo. Come faccio, tu mi chiedi?
Non so, ma sento che accade (sono fatto così) e sto in croce.
“Odi et amo”: è un ossimoro o un endiadi? Denota un contrasto di sentimenti antitetici che coesistono o un unico sentimento complesso scomposto nelle sue componenti? “Et” potrebbe avere una funzione esplicativa: “odio proprio perché intensamente amo”? Quel che è certo: si tratta di una novitas, di un punto di partenza. Catullo ha scoperto – o inventato? – l’amore romantico, ambivalente, scisso, fenomeno emergente del tormento, dell’ intricato mistero dell’ Io. ( La gelosia per i tradimenti di Lesbia funge solo da causa scatenante: ma è la donna l’unico oggetto del suo sentimento?) Ed infatti l’interlocutore, la cui presenza è fort emente sottolineata dall’opposizione fra i tre verbi in prima persona (odi, amo, faciam) e requiris, seconda persona, in posizione di evidenza alla fine del verso – ma non è lo stesso poeta? – chiede, stupito, perché si comporti così, perché ami nonostante tutto, come (quare) faccia, qual è la ragione di questa dialettica nel suo animo. La risposta del poeta è tanto semplice quanto interlocutoria, aperta a secoli di sviluppi, approfondimenti, ricerche: si direbbe che sia un invito, una sfida a scrutare ciascuno il proprio animo e dare, se c’è, una risposta. “Non so , ma sento che accade”. Catullo non sa, ma sente ( novello Socrate, questo è il suo sapere): fieri significa ‘accadere’, ma anche, come passivo di facere, ‘essere fatto’. “Io sono fatto così!” dice il poeta co n la singolarità, l’egocentrismo di un fanciullo. Ma l’adulto aggiunge: excrucior, ‘soffro il supplizio della croce’. La crux è il supplizio dell’immobilità forzata e spasmodica e rappresenta qui l’impossibilità, l’incapacità, quasi l’inettitudine, a fuggire da una situazione che genera tormento. Essendo appunto inchiodato alla croce del proprio Io diviso.
Secoli dopo un altro poeta scriverà:
Pace non trovo, e non ho da far guerra;
e temo, e spero; et ardo, e son un ghiaccio;
e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto ‘l mondo abbraccio.
(Francesco Petrarca, Canzoniere, CXXXIV)
E questo poeta aveva letto Gaio Valerio Catullo.
Featured image, Il poeta Catullo legge uno dei suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefano Bakalovich.
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