Oggi abbiamo toccato i martiri. Papa Francesco in Albania

Creato il 22 settembre 2014 da Gaetano63
Attraverso la porta piccola
dal nostro inviato Gaetano ValliniLo sguardo di Papa Francesco non coincide con quello dei potenti. Per questo ha scelto di entrare per la prima volta in  Europa da una porta piccola e un po' discosta, l’Albania. Lo ha fatto ieri,  21 settembre, per lanciare un messaggio. Lo ha detto chiaramente — «è un segnale che io voglio dare» — proprio sull’aereo che lo riportava a Roma da Tirana, al termine di una giornata intensa: undici ore per cinque incontri ufficiali. Una giornata iniziata sotto un cielo plumbeo e un caldo afoso  all’aeroporto internazionale «Madre Teresa», dove Francesco è arrivato alle 9, accolto con una cerimonia molto semplice dal primo ministro Edi Rama con una delegazione del Governo, da monsignor Ramiro Moliner Inglés, nunzio apostolico, monsignor Angelo Massafra, arcivescovo di Shkodrë-Pult e presidente della Conferenza dei vescovi albanesi, e monsignor Rrok Mirdita, arcivescovo di Tiranë-Durrës. La cerimonia di benvenuto si è svolta più tardi al palazzo presidenziale. Ad accogliere il Papa sul piazzale il presidente della Repubblica  Bujar Nishani. Dopo gli onori militari e l’esecuzione degli inni, il Pontefice ha firmato il libro d’oro su cui ha scritto: «Al nobile popolo albanese con il mio rispetto e ammirazione per la sua testimonianza e la sua fraternità per portare avanti il Paese». Dopo un colloquio privato nello Studio verde, lo scambio dei doni. Il Pontefice ha regalato al presidente una copia dell’unico esemplare conosciuto  del messale in albanese di Gjon Buzuku, stampato nel 1555 e conservato nella Biblioteca vaticana. Un dono particolarmente apprezzato da Nishani, che ha ricambiato con un ritratto in argento di Clemente xi, della famiglia Albani, con la scritta: «La casa dell’albanese appartiene a Dio e all’ospite».  Dopo  l’incontro con le autorità e il corpo diplomatico, i discorsi ufficiali nel Salone Skanderberg. Francesco ha parlato — come del resto in  tutti  gli interventi della giornata — in italiano, lingua piuttosto conosciuta in Albania. A ogni modo, a tradurre le parole del Pontefice è stato don Davide Djudjaj, che aveva già svolto questo incarico durante la visita di Giovanni Paolo ii. Il Papa ha riconosciuto il cammino compiuto e i meriti del Paese, «un esempio a cui ispirarsi», e ha lanciato il primo, fermo richiamo a non farsi scudo di Dio per progettare e compiere atti di violenza. Dal palazzo presidenziale Papa Francesco, accompagnato dai canti del coro di cento persone provenienti dalle diverse diocesi albanesi,  ha raggiunto sulla stessa jeep che usa in piazza San Pietro la vicina piazza Madre Teresa, dov’era stato allestito il palco con l’altare per la messa e sul quale erano stati posti il crocifisso della concattedrale di Durazzo e un quadro raffigurante Nostra Signora del Buon Consiglio, particolarmente venerata in Albania, successivamente donato al Papa a ricordo della visita insieme con una croce con i volti dei 40 martiri. Prima di indossare i paramenti il Pontefice ha incontrato il sindaco di Tirana, Luzim Xhelal Basha, che gli ha donato le chiavi della città.Significativa la scelta della liturgia della parola: un brano dal capitolo 19 dell’Esodo, in cui si usa la metafora di Dio che come un’aquila — l’aquila è il simbolo dell’Albania — si prende cura dei suoi piccoli; uno tratto dalla lettera ai Romani in cui Paolo ricorda la sua predicazione in Illiria, l’Albania di oggi, per sottolineare la prima evangelizzazione; il testo del capitolo 10 di Luca in cui si parla della missionarietà. Non sempre, ha ricordato  in proposito Francesco all’omelia, l’annuncio è stato accolto. Talvolta le porte si sono chiuse. Come qui, in Albania, in un recente passato.  Ma la Chiesa ha resistito ed è rinata.I lettori delle intenzioni della preghiera dei fedeli sono stati scelti dalle diverse diocesi: tra gli altri, una ragazza rom e un non vedente. I doni dell’offertorio sono stati invece portati all’altare da tre generazioni di una stessa una famiglia, per sottolineare il valore di questa istituzione anche in preparazione al prossimo Sinodo. Al termine della messa — in latino con letture e preghiere in albanese, concelebrata dai vescovi e da quasi tutti i sacerdoti albanesi, e da presuli di diocesi di Paesi vicini — il Papa ha recitato l’Angelus, dedicato particolarmente ai giovani. Subito dopo monsignor Mirdita ha rivolto parole di ringraziamento al Pontefice per la sua presenza.  È stato calcolato che alla messa, tra quanti affollavano la piazza e quanti invece erano assiepati lungo il viale dei Martiri nonostante la pioggia caduta a sprazzi, abbiano partecipato duecentocinquantamila persone, provenienti dall’Albania, ma anche da Kosovo, Montenegro e Macedonia. Moltissimi musulmani,  la maggioranza nel Paese, che hanno voluto dare il proprio saluto al Papa. E prima del suo arrivo, in una moschea si è pregato per la buona riuscita del viaggio.Successivamente Francesco si è recato nella nunziatura apostolica, dove ha incontrato i vescovi albanesi, fermandosi a pranzo con loro. Nel segno del dialogo fra le religioni il primo incontro pomeridiano, alle 16, presso l’università cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio, al quale hanno partecipato rappresentanti delle cinque comunità religiose albanesi: musulmana, bektashi (confraternita islamica di derivazione sufi), cattolica, ortodossa ed evangelica.  Nel suo saluto monsignor Massafra ha sottolineato i passi importanti compiuti insieme. Da parte sua il Papa — che ha salutato i presenti sia prima che alla fine dell’incontro — ha richiamato ancora una volta l’importanza del dialogo fraterno, ribadendo che non si può uccidere in nome di Dio.Quindi il Pontefice, dopo un breve tragitto nel centro di Tirana, ha raggiunto la nuova cattedrale di San Paolo, consacrata nel 2002, per la celebrazione dei vespri e l’incontro con le varie realtà della Chiesa locale. All’ingresso ha benedetto le tre campane che saranno poste sul nuovo campanile della cattedrale della diocesi di Rrëshen, aperta al culto tredici anni fa.  Da qui in auto il Papa ha raggiunto il centro Betania — struttura a ventisei chilometri da Tirana che dal 1998 si occupa di bambini abbandonati e in difficoltà — per il momento conclusivo della visita dedicato alla dimensione della testimonianza della carità e al quale sono stati invitati operatori e volontari di altri centri di assistenza del Paese. A  porgere il saluto e a presentare storia e attività del centro è stata la direttrice della Fondazione Betania, Monica Bologna, mentre Mirjan Jani ha raccontato la sua esperienza prima  di ospite, accolto nel 1999 a Betania quando aveva 8 anni, dopo la separazione dei genitori, e ora di operatore. Nel suo discorso il Papa ha ringraziato per la testimonianza offerta dal centro, perché qui «vediamo la fede farsi carità concreta» e perché questo centro «testimonia che è possibile una convivenza pacifica  e fraterna tra persone appartenenti a diverse etnie e a diverse confessioni religiose». L’incontro si è svolto nella chiesa, intitolata a Sant’Antonio, protettore dell’opera. E proprio una statua del santo è stato il dono che il Pontefice ha voluto lasciare alla comunità. I bambini — che all’uscita hanno accompagnato con un canto  e con un incontenibile entusiasmo Francesco, che li ha salutati insieme a un gruppo di malati — hanno ricambiato regalandogli un libretto con delle foto e la storia dell’Associazione Betania,  oltre a un libretto di preghiere spontanee di Antonietta Vitale, fondatrice dell’opera, presente all’incontro.
L’ultimo momento della visita di Francesco in Albania — che verrà ricordata a lungo e con profonda gratitudine per ciò che ha significato per il Paese — è stato breve quanto quello  iniziale, con un saluto in aeroporto da parte del primo Ministro. L’aereo papale è partito poco prima delle 20 alla volta dell’aeroporto romano di Ciampino, dove è atterrato dopo circa un’ora.

Con le lacrime agli occhi


La Chiesa uscita venti anni fa dall’inverno insanguinato della persecuzione —  e dalle catacombe cui l’aveva costretta un regime dittatoriale comunista e ostentatamente ateo  — ha il volto segnato dalle sofferenze, ma nonostante tutto sereno, di due ottuagenari: quello di don Ernest Simoni, 84 anni, e di  suor Marije Kaleta, 85 anni. Le loro testimonianze durante l’incontro con i sacerdoti, i religiosi e i rappresentanti del mondo laicale svoltosi nel pomeriggio  nella nuova cattedrale di Tirana intitolata a San Paolo, segnano il momento più toccante della visita di Papa Francesco. Commozione fino alle lacrime per il Pontefice al termine del racconto del sacerdote. Torturato e condannato a morte come nemico del popolo, pena successivamente commutata nella carcerazione, don Ernest  — uno dei due soli sacerdoti ancora in vita dei pochissimi sopravvissuti alla persecuzione — ha trascorso 27 anni in vari campi di concentramento e ai lavori forzati. «Durante la prigionia ho celebrato la messa in latino a memoria, così come ho confessato e distribuito la comunione di nascosto» ricorda.Con le lacrime agli occhi, tra gli applausi interminabili dei presenti, tutti visibilmente emozionati, Francesco abbraccia a lungo il prete che si è inginocchiato per baciargli la mano, lo aiuta a rialzarsi, baciandogli a sua volta la mano. Attimi di grande intensità, proseguiti poi con il racconto di  suor Marije. Dopo aver vissuto per sette anni nel convento delle suore stigmatine, la religiosa è stata costretta a professare  la propria fede nel nascondimento. «Il Signore mi ha dato tanta fede — racconta — così da poterla donare anche agli altri  battezzando non solo i bambini nei villaggi, ma anche tutti coloro  che si presentavano alla mia porta».  Non solo. Grazie ad alcuni sacerdoti riuscì a custodire in casa, in un comodino, il Santissimo Sacramento, che portava ai malati. Anche la suora, finita la testimonianza, s’inginocchia dinanzi al Papa, che l’aiuta  a rialzarsi, abbracciando a lungo anche lei. E subito dopo, al momento di tenere l’omelia,  una meditazione durante la recita dei vespri,  mette da parte il testo preparato — ed è stata l’unica volta nella giornata — per parlare a braccio, tanto è rimasto colpito dalle testimonianze. Una riflessione dettata dal cuore,  conclusa con una constatazione: «Andiamo a casa pensando: oggi abbiamo toccato i martiri». Che la seconda visita di un Pontefice in questo Paese, dopo quella storica di  Giovanni Paolo ii, qui giunto il 23 aprile 1993 per ricostituire una Chiesa distrutta dalla persecuzione, avrebbe avuto come uno dei  motivi di fondo quel martirio lo aveva spiegato lo stesso Francesco di ritorno dalla Corea. E lo ribadisce  in mattinata sull’aereo appena partito da Roma  per Tirana nel breve saluto ai giornalisti, sottolineando che l’Albania «è  un Paese che ha sofferto tanto». E lo ripete più volte nel corso della giornata, ricordando le crudeltà terribili subite dai cattolici, ma anche da ortodossi e musulmani. In cattedrale il Papa confida di essersi documentato per due mesi sulla storia dell’Albania e sulla sua sofferenza della Chiesa. Una sofferenza che, lungo il viale dei Martiri della Nazione, ha anche i volti e i nomi di altrettanti cattolici — due vescovi, trenta sacerdoti e otto laici, tra i quali una donna — uccisi in odio alla fede negli anni bui della brutale dittatura comunista, per i quali  è in corso il processo di canonizzazione. Nei vari spostamenti il corteo papale lo percorre più volte e il vescovo di Roma ne rimane colpito: «Si vede che questo popolo ha memoria di questi martiri». Martiri la cui testimonianza, così come quella di tutta la Chiesa albanese, viene sottolineata anche dall’arcivescovo Mirdita nel saluto al Pontefice. Martiri che,  come ricorda un sacerdote, sono «morti gridando: “Viva il Papa”.  E anche noi oggi vogliamo gridare: “Viva il Papa”». (gaetano vallini)
(©L'Osservatore Romano – 22-23 settembre 2014)

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :